L’annosa questione circa la vera paternità delle opere del Bardo di Avon ha diviso i critici nei secoli. Varie teorie si sono susseguite negli anni, costituendosi in fantasiose congetture, le quali si riferiscono persino a una presunta origine italiana – messinese nello specifico – dello scrittore.
Nel 1920 venne pubblicato il saggio Shakespeare Identified, scritto dal professore inglese John Thomas Looney, nel quale viene portata avanti la cosiddetta “teoria oxfordiana”, secondo la quale il reale autore delle opere shakespeariane sarebbe Edward de Vere, 17esimo conte di Oxford (1550-1604). La teoria, sviluppata durante la guerra mondiale e depositata in un documento sigillato al British Museum nel 1918, ebbe vari estimatori, tra i quali Sigmund Freud, che lesse il libro di Looney nel 1923.
I fatti che vengono utilizzati per supportare questa tesi riguardano la scarsa educazione di William Shakespeare e la sua personalità, giudicata «impoetica». Inoltre, la maniera con la quale i personaggi di bassa estrazione sociale erano descritti, identificava uno scarso apprezzamento nei loro confronti: elemento tipico di un nobile. Looney ha analizzato la biografia e la carriera di Edward de Vere, arrivando a trovare delle corrispondenze nelle azioni dei drammi e della commedie. Il fatto che de Vere morì nel 1604, quindi anni prima che molte delle opere shakespeariane venissero pubblicate, è un fatto che Looney utilizzò per confermare ancora di più la sua teoria: secondo il professore, infatti, da quell’anno le opere avrebbero cambiato nettamente stile, rendendole attribuibili a un autore terzo.
Ma vediamo di conoscere più da vicino Edward de Vere, il conte di Oxford ritenuto da Looney il vero autore di molte delle opere del Bardo. Nato nella contea di Essex, fu l’unico figlio di John de Vere e Margery Golding. Dopo la morte del padre nel 1562 divenne guardia della regina Elisabetta. Prese in moglie Anne, la figlia di Sir William Cecil, primo consigliere della regina.
Viaggiò tra Francia e Italia e fu tra i primi a comporre versi d’amore e drammi – che non furono mai pubblicati – presso la corte elisabettiana. Nei primi anni Ottanta del Cinquecento fu esiliato dalla corte dopo aver messo incinta la sua amante, una delle damigelle d’onore della regina, Anne Vavasour. Dopo la morte della moglie, sposò un’altra damigella, Elizabeth Trentham.
La teoria oxfordiana tenta quindi di stabilirsi sulla base di elementi biografici del conte che corrisponderebbero al contenuto delle opere teatrali e dei sonetti shakespeariani. Ci sarebbero, sempre secondo la tesi, dei parallelismi riscontrabili nel linguaggio e nel pensiero tra le opere del poeta e le lettere e le poesie di de Vere. La probabilità più presa in considerazione è quella che Shakespeare non fosse altro che un “frontman” che pubblicasse col suo nome cose non sue, oppure che fosse solo un attore frainteso come l’autore di quello che recitava.
Dopo una fase di declino coinciso con l’inizio della seconda guerra mondiale, la teoria venne riportata alla luce nel 1952 da Dorothy e Charlton Greenwood Ogburn, che pubblicarono This Star of England, un saggio che appoggiava le teorie di Looney. La Shakespeare Oxford Society, il nome che usarono gli adepti di questa teoria, si affievolì negli anni, fino a contare solo ottanta membri nel 1974. Due anni dopo Charlton Ogburn venne nominato presidente della società e diede una spinta per il revival della teoria oxfordiana e nel 1985 pubblicò The Mysterious William Shakespeare: the Myth and the Reality, attraverso il quale le idee di de Vere come vero Shakespeare si posero come la possibilità più plausibile tra le varie congetture.
La teoria ritornò in auge nell’ottobre del 2011, quando uscì il film Anonymous, di Roland Emmerich: in esso è evidente come de Vere sia dipinto come il vero autore delle opere shakespeariane. Le reazioni al film furono molto negative da parte degli studiosi: lo Shakespeare Birthplace Trust ha montato un video in cui sessanta studiosi e scrittori, per un minuto ciascuno, rispondono ai dubbi circa l’identità di Shakespeare.
Ma noi ci domandiamo: è davvero così necessario sapere tutto di un autore? Attribuire un volto, un nome, una vita ben strutturata a un personaggio letterario? Fondamentale è riconoscere, apprezzare e tramandare la poesia che dei versi immortali avranno sempre da rinnovare. Come recitano gli ultimi versi del Sonetto 18,
«finché ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita»

Lucia Cambria
Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.