ArtePrimo PianoLa simbologia del mare nei contesti funerari dell’Etruria

Alice Massarenti1 Aprile 2022
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Nell’iconografia funeraria etrusca sono spesso raffigurate navi, pesci o scene di navigazione fin dal VIII-VII secolo a.C., sovente dipinte sul vasellame ceramico. Fin dalla fase più antica viene evocato il mare nella pittura parietale tombale, ad esempio nel tumulo della Nave di Cerveteri. La percezione del mare come “ambiente” prossimo all’Aldilà continua dall’età orientalizzante fino all’ellenismo, e nasce dall’esperienza umana che scopre i pericoli mortali e gli ambienti inospitali delle profondità marine. In un’epoca di grandi navigazioni mediterranee e commerci, nonché caratterizzata dalla colonizzazione greca in Occidente, gli Etruschi dipingono imbarcazioni che si scontrano con pesci giganteschi o con nemici le cui navi assumono un aspetto mostruoso, con prue simili a fauci di creature pronte ad azzannare.

Tarquinia, Tomba della Caccia e Pesca, particolare della parete di fondo della seconda camera

Dal VI secolo a.C. le scene marine di carattere narrativo, inizialmente le sole a essere rappresentate, vengono associate a raffigurazioni di una superficie ondulata o di onde correnti che vanno a sostituire nel tempo le immagini più dettagliate. Gli animali marini non hanno più bisogno di essere raffigurati in ambiente acquatico e la sola superficie del mare diventa simbolo del richiamo alla morte. Compaiono ippocampi e onde sulle pareti delle tombe dipinte e sulle cornici delle stele felsinee, senza necessità di un legame narrativo con le scene rappresentate.

Il mare è uno spazio di confine attraverso il quale il defunto deve compiere un viaggio in cui abbandona la vita conosciuta per una meta misteriosa. Il defunto viene abbigliato per il lungo viaggio e preparato a compierlo in nave o cavalcando un ippocampo. Deve affrontare mostri marini, scogli e altre avversità, in quanto il passaggio verso l’Aldilà viene immaginato come un percorso per niente tranquillo, con ostacoli e nemici da sconfiggere, ma che vede sempre il defunto come vincitore. L’iconografia marina è ricca di raffigurazioni di esseri ibridi o fantastici, uccelli, ma anche di immagini di Usil (il Sole) o Thesan (l’Aurora), in corsa sulla superficie dell’acqua a simboleggiare la nascita e la morte del sole.

Roma, Museo di Villa Giulia, hydria etrusca a figure nere da Vulci

Il tuffo in mare nel mondo greco non faceva parte della quotidianità, ma era piuttosto un rito di passaggio (ordalia). Le immagini di tuffatori in Grecia e in Etruria sono estremamente rare e si trovano esclusivamente in contesti tombali: nella tomba del Tuffatore di Poseidonia, datata al 480-470 a.C., il tuffatore è rappresentato sul coperchio della cassa mentre si getta in mare lanciandosi dalle porte dell’Ade; nella tomba della Caccia e Pesca di Tarquinia, datata al 520-510 a.C., il tuffatore si getta da uno scoglio, salutato da un uomo.

Le metafore del mare e del vino come immagini equivalenti della morte vengono elaborate in Etruria dalla fine del VI secolo a.C. e compaiono in vari monumenti funerari, ma questa similitudine era presente già nel mondo greco e in Omero, in quanto il mare aperto è visivamente simile al vino; la documentazione archeologica etrusca mostra l’analogia tra mare e vino nella scelta dei colori utilizzati per rappresentare l’acqua del mare. Questo motivo viene solitamente rappresentato nel registro inferiore delle pareti e con un’altezza sproporzionata rispetto alle dimensioni della parete; i defunti giacciono al livello della superficie del mare oppure al di sotto delle onde marine, come se fossero sommersi.

Tarquinia, Tomba dei Tori, timpano della parete d’ingresso, a sinistra

Nella tomba tarquiniese dei Demoni Azzurri, datata circa al 450 a.C., il banchetto costituisce la meta cui conducono i due viaggi verso l’Aldilà dell’uomo e della donna, rappresentati sulle pareti laterali di sinistra e di destra; così è anche nella tomba della Nave di Tarquinia, nella quale il banchetto rappresentato sulla parete di fondo è ambientato nell’Aldilà e il defunto giunge a esso al termine del suo viaggio per mare, dopo aver superato innumerevoli peripezie. Il defunto è implicitamente immaginato come vincitore sui mostri marini, divinizzato se rapito da una divinità solare o sopravvissuto a un tuffo, ineludibilmente destinato a partecipare al banchetto nell’Aldilà.

La maggior parte dei corredi funerari pertinenti alle tombe dipinte non sono conservati, eppure è evidente che esiste una relazione tra pittura parietale e corredo. La tomba del Triclinio ci ha restituito uno specchio in bronzo inciso che richiama le medesime tematiche presenti sulle pareti dipinte: l’ambiente marino, rappresentato nell’esergo, e al di sopra il mondo del banchetto e di Dioniso, evocato dalla presenza della “klíne” e dai tralci d’edera.

Berlino, Antikensammlung, specchio inciso in bronzo con Thesan/Eos e Kephalos (disegno), provenienza sconosciuta

Molti specchi etruschi presentano la raffigurazione del mare nell’esergo, di mostri marini o del carro dell’Aurora che si leva dalla superficie del mare, e al di sopra immagini dionisiache di satiri e menadi, o anche di Eracle a cavallo di Pegaso. A volte il lato riflettente viene incorniciato da un motivo a onde. Anche nelle urne cinerarie e nei sarcofagi si può ritrovare la rappresentazione del mare, per quanto simbolica, così come nella ceramica, diversamente dalla produzione attica.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.