Nell’Ottocento Napoli era una delle città più importanti d’Europa. Si trattava di una vera e propria capitale culturale, con il fervore che la rende da sempre peculiare e riconoscibile. I vicoli e le piazze erano gremite di intellettuali, musicisti, artisti, e non a caso la città partenopea era un’inevitabile meta del Grand Tour, il viaggio che compivano i giovani appartenenti alle famiglie aristocratiche europee o i noti scrittori e intellettuali. Il tour permetteva di conoscere il mondo e i luoghi più significativi della storia e della cultura, per forgiare un’inestimabile formazione intellettuale, e per la maggior parte si svolgeva in Italia. Napoli – con le sue origini greche, gli scavi di Pompei, di Ercolano, il Vesuvio e la possibilità di studiarne i fenomeni naturali – costituiva una tappa unica e irrinunciabile. La città colpì più di altre Johann Wolfgang von Goethe durante il suo Grand Tour: «Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate. Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi».


Tracce di questi viaggi sono i quadri dipinti con acquerello alla “gouache”, la parola francese derivata dall’italiano “guazzo” o “guàdo”, che ne descrive la tecnica pittorica. Questi raffiguravano i paesaggi, documentando dunque gli itinerari europei, e la scuola napoletana ne fu protagonista. Le opere erano definite da pennellate rapide e sicure, e le tele erano dipinte con una tavolozza formata da modica acqua addensata con otto colori: nero d’avorio, blu cobalto, terra d’ombra naturale, terra di Siena bruciata, rosso cadmio, verde smeraldo, giallo Napoli od ocra giallo bianco di zinco. Stimato esponente delle famose “gouaches napolitaines” fu il pittore tedesco Jakob Philipp Hackert, che lavorò a lungo a Napoli. Tanto della bellezza nella memoria visiva che si ebbe del panorama, dei monumenti, degli scavi archeologici e del vulcano della città si deve a questo periodo.

Questo fenomeno contribuì a trasformare la pittura napoletana dell’Ottocento, che si diresse sempre più verso un’arte paesaggistica, reduce anche da novità artistiche come quelle del pittore William Turner; novità che grazie al Grand Tour si diffusero anche a Napoli. E proprio in città nacque la famosa Scuola di Posillipo. La nascita di questo gruppo fu così definita nel 1867 dal critico Pasquale Villari: «La bellezza del clima, i paesaggi stupendi che circondano Napoli, e i molti forestieri che ne chiedono sempre qualche ricordo disegnato e dipinto, avevano fatto sorgere un certo numero di artisti i quali, come per disprezzo, erano degli accademici chiamati della Scuola di Posillipo, dal luogo dove abitavano per essere più vicini ai forestieri. Essi non facevano che in origine di copiare vedute, ma gli inglesi» – prosegue Villari – «hanno generalmente molto gusto per questi lavori, li giudicano e li pagano bene. Fu perciò necessario migliorare, e la Scuola di Posillipo fece infatti progresso, e crebbe di numero».

Il suo fondatore fu Anton Sminck Pitlo, denominato “signor Pitloo” dai napoletani, pittore olandese giunto a Napoli dopo un soggiorno a Parigi, che resterà nella città partenopea fino alla morte. Dal 1820 al 1860 la Scuola di Posillipo, così denominata per il quartiere nel quale i suoi esponenti vivevano, riunì artisti che dipingevano gli scenari panoramici e i costumi tipici della città. La pittura paesaggistica era considerata un genere minore, per cui gli artisti si sentivano più liberi dai vincoli accademici. Pitlo, che divenne docente di Paesaggio all’Accademia di Belle Arti di Napoli, fu il primo ad applicare la nuova tendenza pittorica “en plein air” – appresa nella capitale francese – alle riproduzioni paesaggistiche di Napoli; abbandonò l’elemento puramente realistico e informativo della tradizionale pittura di paesaggio e utilizzò luce e colori per trasporre nei dipinti impressioni e influenze personali derivanti dall’osservazione di un luogo. Era dunque all’aria aperta che gli artisti cominciarono a lavorare alle loro opere, fornendo scorci e vedute sulla città campana intrisi di luce e colori tenui. Il successo della Scuola, dovuto anche alle commissioni dei tanti turisti stranieri, soprattutto inglesi, generò intere famiglie di paesaggisti, e fu Giacinto Gigante a raccogliere l’eredità del maestro olandese, divenendo il più ricercato e apprezzato dei suoi esponenti, grazie alla tecnica dell’acquerello che rendeva le atmosfere dei suoi dipinti ancor più luminose e cariche di emotività.

Il gruppo fu il punto di partenza di molti artisti, tra cui Achille Vertunni, Filippo, Giuseppe e Francesco Paolo Palizzi, Federico Spedaliere e Achille Carrillo. Gli acquerelli di queste opere producono atmosfere intrise di sensibilità emotiva, e fanno respirare l’aria di innovazione che pervase il mondo dell’arte in quegli anni. Questi pittori furono infatti tra i primi ad aggiornarsi alle tendenze europee, raccogliendo le influenze degli artisti stranieri; con le loro pennellate leggere, gli artisti della Scuola di Posillipo hanno saputo rappresentare in modo unico e originale i paesaggi e la vita ottocentesca di una signorile, nobile e al tempo stesso popolare Napoli.

Valentina Merola
Laureata in Didattica dell’Arte, ha conseguito i suoi studi tra l’Accademia di Belle Arti di Napoli e l’Université Paris VIII di Parigi, con indirizzo “Arts, Philosophie, Esthétique”. Appassionata di filosofia e arte, in particolare quella medievale e rinascimentale, amante di libri e vecchie cartoline.