LetteraturaPrimo PianoLa riscoperta di Robin Hood: la leggenda tra Medioevo e Romanticismo

Lucia Cambria17 Gennaio 2022
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Il personaggio di Robin Hood ci è noto anche grazie all’adattamento fatto dalla Disney. Ma forse non tutti sanno che le storie riguardo questo misterioso figuro hanno percorso molti secoli prima di arrivare fino a noi. Fu in parte grazie al Romanticismo che leggende di questo genere furono riscoperte e tramandate. Negli anni che precedettero la sua piena fioritura, si assistette a un interesse nei confronti del mondo medievale.

Una della manifestazioni più efficaci fu la raccolta di ballate pubblicata da Thomas Percy nel 1765 con il titolo Reliques of Ancient English Poetry. Questi testi recano, secondo l’eminente parere di Mario Praz, una «freschezza popolaresca», e sono riusciti ad aprire una finestra su un’epoca che esercitava il proprio potere attrattivo tramite un intrigante senso di mistero. Vari sono stati gli esempi di “medievalismi” nelle opere dei principali artisti romantici: basti pensare alle illustrazioni di William Blake, ai poemi Ossianici e ai romanzi storici di Walter Scott. Ma un tentativo “filologico” di riportare alla luce testi autentici lo si è avuto proprio con la raccolta di Percy.

Thomas Percy (1729-1811), scrittore e vescovo di Dromore, in Irlanda, iniziò la propria attività letteraria come traduttore. La passione per i Canti di Ossian lo condusse a tradurre poesie runiche (Five Pieces of Runic Poetry, 1763), ma fu con le Reliques che Percy raggiunse la notorietà, influendo sui poeti della prima generazione romantica, i cosiddetti “Lake Poets”.

Tutto iniziò quando lo scrittore trovò in una casa un manoscritto che è oggi conosciuto come Percy Folio. Il manoscritto era stato messo da parte perché ritenuto illeggibile: essendo in “Middle English” (l’inglese che si parlava nel Medioevo), non veniva compreso. Oltre ciò, era anche stato trattato malamente e smembrato: alcune delle pagine erano state usate dalla serva della casa per accendere il fuoco. E proprio tra queste pagine bistrattate giace una delle più importanti testimonianze delle antiche ballate aventi come protagonista Robin Hood. In particolare Robin Hood and Guy of Gisborne, sopraggiunta a noi esclusivamente tramite il lavoro di Percy: si tratta dell’unica, tra le sei contenute nel manoscritto originale, che lo scrittore trascrisse nelle Reliques.

Questa ballata, molto probabilmente, esisteva già prima del 1475. La storia è brutale e ci racconta un personaggio diverso da quello al quale siamo stati abituati: Robin sogna di essere stato catturato da due guardie e quando si sveglia va nella foresta con Little John per cercarle. Nella foresta ne incontrano una travestita da cavallo e armata: la guardia si rivela essere Guy of Gysborne, alla ricerca di Robin Hood. I due si sfidano e alla fine Robin lo uccide decapitandolo e sfigurandogli il volto. Poi infilza la testa decapitata sul suo arco.

Ma da dove proviene la leggenda di Robin Hood? Innanzitutto, quando queste storie iniziarono a essere narrate e tramandate, si credeva che questo personaggio fosse davvero esistito. Vi sono state nei secoli varie speculazioni circa la sua identità, ma questa resta ancora oggi sconosciuta. Non ci sono prove autentiche sulla sua esistenza, ma alcune ballate – tra le quali quella contenuta nella raccolta di Thomas Percy – riescono a delineare i tratti di questo personaggio leggendario.

La prima testimonianza scritta proviene dal Piers Plowman di William Langland, datato 1377. In uno dei testi, un personaggio chiamato Sloth dice: «Non conosco a memoria il Padrenostro, così come lo canta il prete. Ma conosco le rime di Robin Hood». Questa è una prova del fatto che nel XIV secolo le storie sul fuorilegge del folklore inglese circolassero già.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.