Nel 1806 Heinrich von Kleist abbandona il suo “posto fisso”, un incarico sicuro e ben retribuito a Koingsberg, per potersi dedicare anima e corpo alla letteratura. Gli scrittori non hanno molta scelta, obbligati come sono dalla loro vocazione, ma certamente Kleist non visse male questa necessità, considerato il suo reiterato odio nei confronti della burocrazia e di quel lavoro alienante. Tale avversione lo indusse nell’agosto di quell’anno a dichiarare di avere gravi problemi di salute e un assoluto bisogno di riposo. E in quell’assoluta libertà, tanto agognata e finalmente raggiunta, scrisse la Pentesilea. Ci vollero quasi due anni perché la sua opera più importante vedesse la luce.
Protagonista della tragedia è proprio la regina delle Amazzoni, ma il poeta prussiano non ha voluto riproporre la versione ufficiale del mito, ma una minore, riconducibile alla persona di Tolomeo Chenno, scrittore greco vissuto a cavallo tra l’età traianea e adrianea. In questa versione poco nota non è Achille a risultare vincitore nel duello con Pentesilea, bensì l’amazzone: un enorme scarto rispetto a una tradizione ben consolidata che vedeva l’inaffondabile Achille ancor una volta trionfante, prima della sua disfatta. Eppure, tra tutte le novità introdotte da Kleist, questa risulta essere la meno audace.
Però, prima di addentrarci nelle particolarità del dramma, è necessario specificare che non si tratta affatto di un’opera di stampo femminista: un simile pensiero non avrebbe mai potuto sfiorare l’autore, nato e vissuto a cavallo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Kleist non ha voluto rappresentare una donna combattente e militaresca per spingere le sue lettrici e spettatrici a immedesimarsi nell’oggetto della sua tragedia. In tanti, fornendo una simile chiave interpretativa, hanno riempito di significati inesistenti l’opera, falsandone la lettura nel tentativo di veicolare messaggi sbagliati e fuorvianti.
Kleist presenta – un po’ come facevano i greci – due mondi antitetici, ma li rappresenta come due esempi sbagliati. Se le Amazzoni sono donne guerriere, spesso etichettate come “vergini”, totalmente avverse alla logica della guerra ma solamente interessate a fare prigionieri per perpetrare la propria stirpe, i Greci sono l’incarnazione della logica guerriera, finalizzata alla conquista di terre e alla soppressione dei nemici. In questo frangente, Ulisse finisce col diventare simbolo assoluto della ragione e Protoe, fedele alleata di Pentesilea, rampollo della genia amazzonica e del loro fine prettamente biologico.
A emergere sin dai primi versi, quindi, è la disapprovazione nei confronti di tutto ciò che si allontana dalle loro visioni, rappresentato efficacemente dall’amore insensato tra Achille e Pentesilea. Queste due figure emblematiche dell’antichità rendono talamo la battaglia stessa, la guerra un luogo erotico, dominato da giochi di potere e di dominazione. E sono, infatti, i corpi a lanciarsi in questa sfida, a inseguirsi, a scontrarsi, paragonati ad animali feroci, forze della natura incontrollabili, esseri dominati dal puro istinto.
Tra Achille e Pentesilea nasce e si sviluppa un amore, quindi, puramente fisico, una lotta simile al duello tra Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme Liberata di Tasso. Non vi sono spade o colpi di lama, lance o scudi, ma corpi che si toccano e si respingono, in un gioco di spinte feroci e corse a perdifiato, che mirano alla sopraffazione dell’altro, alla vittoria sul combattente, fino alla sua totale distruzione. Addirittura, siamo di fronte a un amore sadico con momenti masochistici, perché sia Achille sia Pentesilea desiderano essere colpiti e deturpati proprio dall’oggetto del loro amore perverso. L’amazzone sogna che Achille faccia di lei quello che ha fatto con il corpo di Ettore: desidera essere legata, umiliata e farlo a sua volta, traendo piacere dalla violenza. Ricorda per molti versi la Salomè di Oscar Wilde, che desidera la testa di San Giovanni Battista solo per poterla baciare ardentemente e piangere sulla sua morte. Sono dinamiche che saranno, poi, largamente studiate e sfruttate nel Novecento per rappresentare la tensione erotica tra due nemici. E, infatti, non appena Achille sarà sconfitto, a Pentesilea non resterà che uccidersi con un pugnale, sul modello di Romeo e Giulietta, la tragedia shakespeariana amatissima da Kleist e riproposta in maniera diversa nella sua prima tragedia, La famiglia Schroffenstein.
E molto shakespeariano è il modo in cui viene presentata Pentesilea, sul modello della descrizione che fa Enobarbo a Cleopatra. Come Shakespeare, Kleist affida questo delicato compito al membro più eloquente dello schieramento greco, ma con un’importante differenza: se Enobarbo è affascinato e innamorato della regina egiziana, Ulisse osserva e descrive tutto quello che vede con il suo sguardo clinico e prepara lo spettatore a quello che vedrà, a quest’amore perverso, dai tratti sadomasochistici, che caratterizza due nemici in lotta in quel talamo che è da sempre la battaglia.

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.