Il celebre dipinto di Piero della Francesca conosciuto come la Pala di Brera o Madonna col Bambino e santi, angeli e Federico da Montefeltro affascina il mondo da secoli. Perché quest’opera cattura lo sguardo più di altre che presentano lo stesso impianto iconografico tipico del Quattrocento? L’attrazione nei confronti di questo capolavoro, emblema del primo Rinascimento, è il carico di simboli e di enigmi che si celano al suo interno.

L’opera fu commissionata nel 1472 da Federico da Montefeltro, signore di Urbino e noto mecenate del tempo, per essere esposta sull’altare maggiore della chiesa urbinate di San Bernardino. Tutto all’interno della Pala votiva ha un significato simbolico proprio, a partire dai personaggi disposti a esedra intorno alla Vergine. Maria è in trono, con eleganti e preziose vesti, e alle sue spalle sono presenti quattro angeli con magnifici e luminosi gioielli. Alla sua destra si trova San Francesco, in quanto fondatore dell’ordine ospitante, e subito dopo è rappresentato San Pietro Martire. L’uomo con il mantello rosso che fissa lo sguardo sul bambino è l’evangelista Giovanni, a sottolineare il significato religioso e più profondo del dipinto: il mistero dell’Incarnazione. Partendo da sinistra, è riconoscibile Giovanni Battista, che con la mano indica Gesù come ad annunciare la venuta di Cristo. Il bambino è adagiato su una pelle d’agnello, simbolo sacrificale; la collana di corallo rosso al suo collo rappresenta infatti il sangue che dovrà versare. Sono poi raffigurati San Bernardino da Siena e San Girolamo, protettore degli umanisti, a evidenziare la sofisticata cultura della corte di Urbino.

In ginocchio sulla destra troviamo il committente in preghiera, vestito con abiti militari: la figura del duca è dunque religiosa e politica allo stesso tempo. Il dipinto doveva celebrare la forza del suo ducato, riconosciuto dalla Vergine e dai Santi. Il 1472 fu l’anno in cui Federico ottenne un’importante vittoria militare, la conquista di Volterra, e la nascita del tanto atteso erede Guidobaldo. In questo periodo dovette però affrontare la morte dell’amata moglie Battista Sforza, e il signore di Urbino volle ricordarla nel ritratto della Madonna che veglia sul bambino, riferendosi al figlio appena nato. La figura di Maria nella Pala di Brera è colma di allegorie: da un lato, la Madonna è la personificazione della Chiesa, e dunque si trova fisicamente in un’abside mentre veglia sul figlio. Dall’altro, è rappresentata dal famoso uovo di struzzo che si trova al centro della grande conchiglia.

La simbologia dell’uovo è celata ma ampia: significa vita e rinascita, e soprattutto nel Medioevo si pensava che le uova di struzzo fossero fecondate dai raggi solari, e quindi era utilizzato come emblema della Vergine Maria. La sua posizione significa che la fede supera la ragione, e non dimentichiamo che lo struzzo era il segno rappresentativo dei Montefeltro. L’uovo di Piero della Francesca racchiude insomma il senso di tutta la Pala. Il ruolo della conchiglia è invece quello della bellezza eterna di Maria, ma secondo alcuni rappresenterebbe il mistero dell’Immacolata Concezione, in quanto le conchiglie non hanno bisogno di alcun intervento maschile per generare la perla.
La corte di Urbino era colta e raffinata, e l’artista utilizzò le sue conoscenze sulla prospettiva per rendere il tutto armonico: il volto della Madonna è il punto di fuga, e la composizione è scandita da semicerchi visibili nella conchiglia, nella disposizione dei Santi e nella forma dell’abside. Ciò che cattura lo sguardo, a parte le figure, è l’architettura: la scena si svolge all’interno di una chiesa in uno spazio moderno, con particolari classicheggianti, come i marmi policromi o le rosette della volta, riconducibili allo stile dell’epoca. L’ambiente è luminoso, nonostante l’utilizzo delle poche tonalità di rosso, blu e verde, e questo perché il pittore utilizza la luce proveniente da una finestra e conferisce all’opera grande intensità. I dettagli e la bellezza dell’abside, dei gioielli, delle vesti e del tappeto ricordano i maestri fiamminghi. In un ambiente come quello urbinate, difatti, varie culture si incontrarono, e Piero fece sue le sperimentazioni dell’epoca, rendendo il suo tratto originale e riconoscibile. La Pala di Brera ha avuto un ruolo unico e fondamentale per l’arte italiana, influenzando gli artisti successivi.

Piero della Francesca lasciò l’opera incompiuta per ragioni non ancora chiare, per cui le mani di Federico da Montefeltro sono state aggiunte successivamente dal pittore fiammingo Pedro Berruguete. Questo capolavoro, famoso in tutto il mondo, si trova oggi a Milano; durante le confische napoleoniche fu prelevato dall’altare maggiore della Chiesa di San Bernardino ma, anziché andare da Urbino a Parigi, fu fortunatamente mandato nella città lombarda per far parte della nuova Pinacoteca.
Dinanzi a quest’opera si ha come la sensazione di entrare all’interno della scena. Come scrisse Roberto Longhi nella sua celebre monografia, si è come «spettatori sulla soglia di un tempietto». E come in un tempio, i dettagli, l’atmosfera, le simbologie creano nell’insieme un momento di assoluta contemplazione, in cui dinanzi ai nostri occhi si manifesta tutta la sapienza del Quattrocento e del maestro Piero della Francesca.

Valentina Merola
Laureata in Didattica dell’Arte, ha conseguito i suoi studi tra l’Accademia di Belle Arti di Napoli e l’Université Paris VIII di Parigi, con indirizzo “Arts, Philosophie, Esthétique”. Appassionata di filosofia e arte, in particolare quella medievale e rinascimentale, amante di libri e vecchie cartoline.