CinemaPrimo PianoL’esplosione della fantascienza “esistenzialista”: un breve itinerario

Nadia Pannone10 Maggio 2019
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Da più di un decennio una nuova ondata di film fantascientifici si è riversata sulla scena cinematografica internazionale, arrivando a costituirne una delle offerte più interessanti. Il genere fantascientifico aveva già conosciuto un certo successo negli anni Ottanta e Novanta, con un numero considerevole di pellicole appartenenti perlopiù ai sottogeneri dello space opera e del cyberpunk. In questi ultimi anni, però, sembra che l’interesse si sia spostato più su un certo tipo di fantascienza che potremmo definire “esistenzialista” e che prende spunto dalla letteratura fantascientifica “new wave” degli anni Sessanta. Ne sono un eccellente esempio i tre titoli che seguono.

L’uomo che venne dalla Terra (Richard Schenkman, 2007) è il risultato di una sceneggiatura iniziata nei primi anni Sessanta dall’autore di fantascienza Jerome Bixby – famoso per aver scritto alcuni episodi delle serie TV culto Ai confini della realtà e Star Trek – e terminata solo in punto di morte, nel 1998. Con un budget risibile e un’ambientazione ridotta a un salotto illuminato da un caminetto, Schenkman ci consegna una brillante riflessione sull’immortalità umana edificata sulle argomentazioni di studiosi e scienziati. Come reagiremmo se, improvvisamente, un nostro amico ci confidasse di essere un uomo di Cro-Magnon e di avere 14mila anni? Una faccenda apparentemente priva di senso instrada un dibattito incalzato da considerazioni e da domande a raffica da parte degli scienziati (molto scettici, e a ragion veduta), tutte puntualmente confutate e argomentate efficacemente dal presunto uomo delle caverne. La discussione si farà così concitata da toccare anche delle notevoli punte di tensione e l’immersione dello spettatore sarà così totale che verrà voglia di stringersi davanti al caminetto insieme ai personaggi, cercando di trovare la falla nella tanto assurda quanto attendibile storia che stiamo ascoltando. Qualche ingenuità e qualche colpo di scena un po’ troppo forzato non andranno a intaccare una raffinata dissertazione sulla morte e una profonda analisi dei miti, delle leggende e delle Sacre Scritture da un punto di vista scientifico, narrativo e psicologico.

Another Earth (Mike Cahill, 2011) ha avuto sicuramente più fortuna del film precedente. Si è aggiudicato, infatti, il Premio Alfred P. Sloan al Sundance Film Festival nel 2011 e ha spianato la strada a Cahill per la realizzazione del successivo e ben più famoso I Origins (2014). Nonostante si tratti ancora di un film indipendente e a basso costo, si noteranno subito una maggiore ricercatezza nella regia e nella fotografia – entrambe opera di Cahill – e, soprattutto, la costante presenza dell’elemento fantascientifico che fa letteralmente da sfondo alla tragica storia raccontata. La scoperta di un pianeta del tutto identico al nostro, sempre presente nel cielo blu a vegliare e a condizionare ogni nostra scelta, causerà la rovina di due esistenze ma, al contempo, rappresenterà l’unica occasione per tornare a vivere dopo aver sperimentato il baratro più oscuro. L’intuizione della Terra gemella, che potrebbe inizialmente indirizzarci verso un risvolto di trama decisamente più sci-fi, rivela avere degli intenti simili a un altro film uscito nello stesso anno, Melancholia di Lars Von Trier. Ma se nell’opera del regista danese l’incombere del nuovo pianeta coincideva con la progressiva e ineluttabile perdita di ogni speranza da parte del genere umano, Terra 2 di Another Earth rende possibile un lavoro su se stessi, un processo di espiazione del senso di colpa.

Alla base di Coherence – Oltre lo spazio tempo (James Ward Byrkit, 2013) non c’è un’effettiva sceneggiatura, ma piccoli spunti sulla trama e sui personaggi a fare da guida alle improvvisazioni degli attori. La pellicola assume delle tinte thriller, a tratti horror, in seguito alla scoperta da parte dei protagonisti dei loro inquietanti e molteplici doppi. Malgrado la narrazione prenda ancora spunto da un corpo celeste (in questo caso una cometa), la pellicola si differenzia dalle precedenti due per una presenza preponderante della componente scientifica. Si parla, infatti, di teorie del multiverso e decoerenza quantistica, passando per il paradosso del gatto di Schrödinger. Tuttavia, la volontà non è soltanto quella di speculare sulla teoria degli universi paralleli – tema piuttosto abusato – ma anche, e soprattutto, quella di riflettere sull’agire dell’uomo in determinate situazioni limite. I protagonisti infatti, amici fino a pochi minuti prima, non saranno più in grado di fidarsi l’uno dell’altro e non si faranno scrupoli ad arrivare a gesti estremi, finanche l’omicidio, pur di sopravvivere. Byrkit ragiona sull’egoismo insito nell’essere umano, sulla falsità con cui spesso instaura relazioni con i propri simili e sulla sconcertante velocità con cui riesce a voltar loro le spalle. Il suo individualismo è così potente da non farlo fermare davanti a niente, neppure a se stesso.

Si noterà che il proposito delle tre pellicole esaminate non è quello di focalizzarsi sugli aspetti scientifici o tecnologici, intrinsechi nel genere fantascientifico, bensì quello di sviscerare la natura dell’animo umano, riuscendo magistralmente nell’intento nonostante i budget esigui. D’altronde il loro punto di forza risiede nei sottotesti delle storie narrate e nello stile elegante e intimista; l’elemento fantascientifico fa solo da sfondo, è il pretesto che innesca una serie di situazioni necessarie al compimento di un’analisi critica e psicologica dei personaggi e, di conseguenza, del genere umano.

Nadia Pannone

Basta poco a renderla felice: un buon film, un po' di musica anni Ottanta, una libreria, qualche conversazione stimolante, un lago, delle luci al neon, una piazza deserta e assolata, delle foto vintage, una coperta e un buon caffè.