LetteraturaMusicaPrimo PianoLa musica come ascolto dell’istante: una riflessione su Karl Wilhelm Ferdinand Solger

Andrea Camparsi21 Dicembre 2021
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Nel vasto panorama dell’Idealismo Tedesco, i pensatori che hanno lasciato un profondo segno nella storia della filosofia sono facilmente riconducibili alla triade formata da Johann Gottlieb Fichte, Friedrich Schelling e Friedrich Hegel. Menti che hanno condotto la speculazione a livelli vertiginosi, spinti dall’ansia di dimostrare che i limiti imposti dal criticismo kantiano potessero essere sovvertititi per dimostrare la conoscibilità di quella verità trascendente battezzata “Das Absolut”, incontrovertibile e divina essenza incorruttibile, al di là di ogni limitatezza, oltre ogni fenomenicità. La trascendenza assoluta supera i limiti della critica kantiana in costrutti filosofici che sono, in estrema sintesi, l’intuizione intellettuale dell’Io fichitano, l’identità oggettiva e la filosofia positiva schellinghiana e la dialettica della Fenomenologia dello Spirito hegeliana.

Per tutti questi pensatori l’assoluto trova nell’arte un “medium” privilegiato in cui lasciare traccia della sua eccezionale portata ontologica, una “Erscheinung”, una manifestazione che non lede in nessun modo l’ulteriorità di un tutto che rimane incorrotto nella sua eternità. Ma un filosofo contemporaneo ai tre grandi idealisti ha saputo osare, portare l’assoluto a scontrarsi con la dura concretezza del transeunte, inserendo nella sua prospettiva speculativa idealista il concetto di “Offenbarung”, di rivelazione, di apertura autentica al mondo fenomenico. Stiamo parlando di Karl Wilhelm Ferdinand Solger, nato nel Brandeburgo nel 1780 e morto a Berlino nel 1819, dopo essere stato Rettore dell’illustre Ateneo cittadino.

Solger, il «cavaliere metafisico del negativo», come lo amava appellare non senza una punta di sarcasmo Søren Kierkegaard, sosteneva che se l’assoluto si manifesta nell’arte, lasciando traccia di sé nello splendore della bellezza, esso non può non pagare un pegno, potremmo dire ontologico, al mondo mortale. Se la materia che l’artista plasma nega se stessa per accogliere la potenza assoluta dell’idea, l’idea stessa deve negare – anche solo per un istante – la sua trascendente incorruttibilità per assumere le sembianze terrigne del finito. Una doppia negazione prende luogo dando esistenza all’idea, donando vita a ciò che è eterno. L’istante dell’accadimento rivelativo è ciò che Solger chiama “Augenblick”, sguardo fugace, battito di ciglia, tempo che dismette i panni della “Zeitlichkeit”, della temporalità, per assumere quelli di un presente eterno che si mostra nella caducità di un istante. Un tempo che diviene visione, un tempo che si fa opaco elemento rifrattivo in cui lo splendore dell’assoluto, il bianco invisibile ai mortali, si dipana nell’arco iridescente dei colori.

Solger morì a 39 anni senza portare a compimento un pensiero che avrebbe potuto influenzare il prosieguo della storia della filosofia, dominata in quegli anni dall’idealismo hegeliano, che sarebbe diventato di lì a poco la teoresi del secolo. Il nostro Solger lasciò in Erwin, quattro dialoghi sul bello e sull’arte (1815) e nelle Lezioni di Estetica (pubblicate postume nel 1829), raccolte dal suo allievo Karl Wilhelm Ludwig Heyse (padre dello scrittore Paul), riflessioni che non presero mai la forma di un austero sistema, ma che si espressero nella dinamica mobilità della forma dialogica, tanto cara a Platone e ai romantici del circolo di Jena.

L’estetica solgeriana affronta i problemi inerenti l’essenza stessa dell’arte, ma non può non indagare come l’assoluto si riveli precipuamente in ogni forma d’arte, dall’architettura alla scultura, dalla pittura alla poesia, passando per l’arte dei suoni, la musica. Arte dei suoni che, seguendo la speculazione della rivelazione, diventa innanzitutto arte del tempo, in cui l’elemento che accoglie l’eternità dell’assoluto in un orizzonte di conoscibilità, si trasfigura esso stesso in bellezza per l’udito. Per Solger, la musica non è semplicemente un mezzo per trasmettere emozioni o sentimenti né tanto meno una semplice arte della comunicazione, bensì l’arte del tempo che, tramite il suono, incarna l’idea di bellezza. «Da dove giunge la musica?», chiede il personaggio Adelbert ad Anselm, nel terzo dialogo dell’Erwin, e Anselm risponde: «Dal tempo».

Per Solger, l’arte non è da intendersi come risoluzione statica di un passaggio rivelativo bensì come inesausto movimento dinamico, in cui è possibile percepire l’atto del passaggio in cui l’assoluto rivela se stesso nella forma eidetica della creazione artistica. Il presente che si materializza nella bellezza è uno sguardo ironico che mostra come l’assoluto si riveli aporeticamente in un finito che accoglie l’attraversamento del divino senza alcuna garanzia di sintesi risolutiva. La musica, arte del tempo, permette l’ascolto di questo passaggio istantaneo che, nella durata della composizione, forma la materia nello scorrere delle note, lasciando affiorare un “tempo altro” in cui la durata temporale del tempo esecutivo subisce uno scarto ontologico per divenire ironico dispiegamento dell’eterno nel finito. Se il bianco della trascendenza si rivela nello spettro dell’iride, l’eterno, il presente assoluto, si rivela nel succedersi di momenti, permettendo all’arte musicale di far rilucere nella vibrazione sonora la bellezza dell’idea.

«La musica è capace di trasportarci attraverso il momento dell’apparenza nella presenza dell’eterno», afferma Solger nelle sue Lezioni di Estetica; e ancora nei dialoghi dell’Erwin: «L’arte musicale consiste precisamente nel fatto che nella sensazione di ogni istante presente tutta l’eternità si fa strada nel nostro animo». Suono e tempo sono i caratteri costitutivi della musica, che non è riducibile a trasposizione sonora di presunti e indefiniti sentimenti e nemmeno a eccitazione dei sensi, ma incarnazione di un universale che risuona nel particolare, facendosi esso stesso particolare. Con queste sintetiche riflessioni sulla musica, Solger compie un decisivo sviluppo nelle considerazioni estetiche sull’arte dei suoni che nei primi anni dell’Ottocento era spesso ravvisata come la minore delle arti. La filosofia dovrà infatti attendere Arthur Schopenhauer e il suo rivoluzionario pensiero della volontà per eleggere la musica ad arte per eccellenza, superiore costituzionalmente a tutte le sue sorelle.

Andrea Camparsi

Dottore di ricerca in filosofia. Studioso di estetica e di filosofia della musica, con particolare attenzione al tardo romanticismo. Ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici.