ArtePrimo PianoLa frequentazione nell’antica Età del Bronzo di grotta Mora Cavorso

Alice Massarenti20 Agosto 2021
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La grotta Mora Cavorso, vicino a Jenne (Roma), nell’alta valle dell’Aniene, è stata oggetto di scavi sistematici a partire dal 2006, dopo esser stata per molto tempo visitata da scavatori clandestini. La grotta è un reticolo carsico che si sviluppa con asse nord-sud per oltre 60 metri nel massiccio dei monti Simbruini. L’entrata di ampie dimensioni che si affaccia sulla valle dell’Aniene è marginata da un muro a secco, costruito nei secoli scorsi dai pastori che frequentavano la zona. La prima sala è profonda 15 metri e larga 6 metri, con un’altezza che dai 5 metri dell’ingresso va a calare fino a 1 metro sul fondo della sala. Da qui parte uno stretto corridoio che porta a un grande ambiente circolare posto a una profondità inferiore di 5 metri. In questa sala – caratterizzata da stalattiti e concrezioni di dimensioni notevoli – si aprono diversi piccoli anfratti, tra cui un passaggio che immette in un reticolo carsico lungo oltre 15 metri. Questi ambienti sono stati frequentati fin dal Neolitico e in alcuni casi ospitano deposizioni di resti ossei umani. Oltre queste zone il reticolo procede per altri 20 metri, non ancora indagati.

Grotta Cavorso: 1. pianta generale con indicazione dei saggi di scavo; 2. sezione della prima sala e del primo condotto interno della grotta con indicazione dei saggi di scavo (Silvestri et alii, 2016)

Nel deposito sono state evidenziate due fosse di simili dimensioni: la fossa A conteneva una ciotola capovolta adagiata su una pietra concrezionata, vari frammenti ceramici, una lamella a cresta in selce e una fuseruola; la fossa B invece conteneva rari frammenti ceramici non diagnostici e resti ossei animali. Il livello dell’Età del Bronzo ha restituito solo nove reperti litici, prevalentemente in selce di media qualità di colore grigiastro. In una fossa è stata rinvenuta una lamella a cresta posizionata a fianco di una ciotola capovolta, mentre due punte di freccia sono emerse poco distanti dalla fossa stessa.

I rimanenti reperti ritrovati – due grattatoi, una punta a dorso, una lama a dorso, una troncatura obliqua su lama raschiatoio e due schegge di lavorazione – indicherebbero una tecnologia tardo pleistocenica, anche se a volte tali elementi sono presenti anche nei paleosuoli datati all’Età del Bronzo. L’industria litica proveniente da cavità coeve centro italiane mostra caratteristiche simili: lavorazione eterogenea, prevalenza di schegge non ritoccate o con ritocchi parziali e una costante esiguità quantitativa. In questa fase la cavità di grotta Mora Cavorso non era un’area di lavorazione primaria, in quanto sono stati ritrovati principalmente strumenti finiti, lamelle ritoccate con sbrecciature d’uso, mentre mancano totalmente scarti di lavorazione e nuclei.

L’industria su osso, in questo caso soprattutto punteruoli, è segnalata in tutti i livelli della media Età del Bronzo delle grotte nel centro Italia, indipendentemente dalla loro funzione, in quanto come oggetti di uso quotidiano accompagnano la presenza umana in ogni situazione durante tutta la preistoria recente.

1-9. industria litica saggi B1-D; 10-13. industria su osso saggi B1-D (disegni 1-2 G. Mutri; 4-9 M. Gatta; 10-13 N. Tomei, in Rolfo et alii, 2013)

I reperti ossei umani rinvenuti, anche se frammentati, hanno permesso di stabilire che si trattava dei resti di una donna di età superiore ai 45 anni, alta circa 155 centimetri; non presentava particolari patologie, salvo un’ernia del disco e una modesta degenerazione artrosica. Le ossa si concentravano a ridosso della parete ovest della grotta e, seguendo un asse N-O/S-E, suggeriscono una deposizione con la testa a nord (seppure il dato risulti incerto a causa di un rimaneggiamento causato da agenti tafonomici naturali o antropici).

Inoltre, presso la grotta Mora Cavorso sono stati ritrovati più di mille resti ossei animali, di cui una piccola parte proveniente da roditori, piccoli uccelli e chirotteri. La netta maggioranza del campione osteologico appartiene ad animali domestici – come pecore e capre – caratterizzati da una statura in media con simili ritrovamenti presso grotte protostoriche centro-italiane quali grotta Sant’Angelo e grotta Beatrice Cenci. Tra gli animali selvatici sono rappresentati il cervo, il capriolo, il cinghiale, la lepre e la lontra. Altri animali domestici sono il maiale, il bue e il cane. La presenza della lepre suggerisce l’esistenza di radure e spazi aperti utilizzati anche per il pascolo, attività economica praticata dalle genti che frequentavano la grotta, mentre il cinghiale indica la presenza di aree boschive umide; minor importanza era riservata alla caccia. La lontra è molto rara tra i reperti protostorici ed è ormai estinta sia nel bacino dell’Aniene che nella maggioranza dei corsi d’acqua italiani.

L’orizzonte superiore del livello dell’Età del Bronzo di grotta Mora Cavorso possiede alcuni indicatori dell’esistenza di pratiche legate alla sfera votiva: reperti ceramici integri (tra cui alcune ciotole) rinvenuti in deposizioni particolari, fosse e buche non legate ad attività pratiche, ossa umane disperse in spazi funerari non definiti, resti di maialini e di agnellini in età perinatale, probabilmente macellati durante pratiche cultuali, come anche testimoniato da Ovidio e Varrone anche in età romana. La frequentazione nella cavità sembra essere stata sporadica e stagionale, concentrandosi nei mesi più caldi, come indicano le età di morte degli animali.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.