Il 13 dicembre si è tenuta, presso il Cinema Massimo di Torino, l’apertura di una rassegna dedicata ai trent’anni dalla scomparsa del grande Luciano Salce con la presentazione del documentario L’uomo dalla bocca storta (2009) di Andrea Pergolari ed Emanuele Salce, figlio del cineasta romano. I due autori sono stati ospiti della sala del Museo Nazionale del Cinema e hanno intrattenuto il pubblico presente con lunghe chiacchiere riguardanti l’autore di opere indimenticabili della nostra produzione leggera, che vanno da Le pillole di Ercole (1960) a Vediamoci chiaro (1984) e oltre. Ma Salce non era solo commedia, com’è testimoniato da Il federale (1961), pellicola estremamente sofisticata che segna l’inizio del lungo sodalizio sul grande schermo con l’amico Ugo Tognazzi. Il film di Pergolari e Salce jr. attraversa le fasi fondamentali della carriera di Salce sr., ritrovando nei racconti di chi ha collaborato con lui tutta la sua magnifica semplicità. In particolare, fa piacere vedere un’attempata Catherine Spaak mentre afferma che la sua fortuna la deve non solo a I dolci inganni (1960) di Alberto Lattuada ma anche all’immagine di irrequieta Lolita presente nel film La voglia matta (1963). Gli aneddoti sono tantissimi e il documentario vale la visione anche solo per l’entusiasmo con cui i realizzatori hanno cercato di raccogliere in cinquanta minuti di montaggio cinquant’anni di storia di teatro, radio, cinema e televisione del nostro Paese.
Luciano Salce aveva una mente instancabile, sempre al di sotto delle proprie possibilità per una sorta di ritrosia alla vanità. Un uomo gentile, un attore fenomenale, un regista straordinario. Emanuele è un vulcano di parole e, con la sua voce impostata da anni di studio (ormai più simile a quella dello “zio” Vittorio Gassman che non a quella del padre), ci riporta agli anni della guerra e all’esperienza di Luciano in un campo di lavoro tedesco. Lì, appena ventenne, fu affamato e torturato, gli venne asportata una mascella per strapparne i denti d’oro e di conseguenza deturpato il volto. Ecco il perché della “bocca storta”, insieme al lascito di un incidente automobilistico di cui era stato vittima in tenera età e di cui persino il figlio è venuto a conoscenza da poco. Luciano Salce arriva, perciò, alla soglia dei trent’anni con già molte tragedie alle spalle. Forse quell’ironia che molti ritengono caratteristica precipua delle sue opere deriva proprio da una visione del mondo divertita e smaliziata, ma anche e soprattutto da un meccanismo di difesa nei confronti di una realtà il cui dramma lo aveva indelebilmente segnato. E se fu tra i primi a spostare l’attenzione della Commedia all’italiana dagli strati popolari alla coppia borghese con film quali Le ore dell’amore (1963) e Ti ho sposato per allegria (1967), è pur vero che Salce non ha sfornato solo cinema leggero ma anzi è stato in grado di produrre lavori di genere e registro assai diversi.
Nel mondo della sanità privata è ambientato Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue (1969), sceneggiato dal protagonista Alberto Sordi con Sergio Amidei, ma assimilato perfettamente dallo sguardo di Salce quando vi si trovano momenti, personaggi e toni che il regista farà totalmente propri nel delineare il mondo fantozziano insieme a Paolo Villaggio. Gli anni Settanta sono, per quasi tutti, quelli del grottesco e della caratterizzazione sopra le righe. Luciano non si tira indietro e riesce, piuttosto, a trovare una strada autonoma e riconoscibile in questo panorama. Diversamente da colleghi come Mario Monicelli ed Ettore Scola, Salce compenetra le sue commedie satiriche con un curioso sentimentalismo, qualcosa che viene dal profondo di un’anima evidentemente tormentata dalla necessità di nascondersi dietro una maschera per non soffrire. Pellicole quali Basta guardarla (1970), Il sindacalista (1972) e Riavanti… Marsch! (1979) sono la prova incontrovertibile di tale tendenza. Di pari passo vanno però gli attacchi all’aziendalismo, alla burocratizzazione con conseguente disumanizzazione dell’italiano medio, in un momento delicato che interseca gli Anni di piombo. Ciò vale per i più scontati Fantozzi (1975) e Il secondo tragico Fantozzi (1976), ma anche per film meno citati come Il… Belpaese (1977), Rag. Arturo De Fanti, bancario precario (1980) e Vieni avanti cretino (1982). Quest’ultimo poi, scopriamo nel documentario proiettato a Torino, è ritenuto da Lino Banfi la cosa migliore cui lui abbia mai partecipato, grazie soprattutto al genio di Luciano Salce.

Alessandro Amato
Nato a Milano, conclude gli studi a Torino, dove continua a lavorare nell'ambito critico e festivaliero. Collabora con "A.I.A.C.E." e il magazine "Sentieri Selvaggi". Dirige rassegne di cortometraggi e cura eventi per la valorizzazione del cinema italiano. Quando capita è anche autore di sceneggiature per la casa di produzione indipendente "Ordinary Frames", di cui è co-fondatore.