Architettura, Design e ModaIn EvidenzaLa fioritura del design italiano

Greta Aldeghi27 Febbraio 2022
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Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, in Europa, lo sviluppo di qualsiasi progetto non militare fu messo in pausa e questo arresto fu particolarmente marcato in Italia, che vide molte delle sue fabbriche distrutte dai bombardamenti degli Alleati. Dopo cinque lunghi anni di conflitto, l’Italia ne emerse fisicamente devastata e spiritualmente demoralizzata, con quasi mezzo milione di vittime tra civili e soldati e una buona parte di infrastrutture vitali completamente distrutte.

In questa fase l’Italia era ancora caratterizzata da un’economia principalmente rurale, ma poteva contare anche su un certo numero di imprenditori e aziende illuminate – come Fiat, Olivetti e Pirelli – che seppero riconoscere la necessità di attuare un programma globale di razionalizzazione industriale. Infatti, nel corso dei cinque anni successivi il nostro Paese riuscì a emergere dalla povertà, avviando la propria economia a un periodo di prosperità grazie a una serie di iniziative adottate dal 1946 in poi. Per dare nuovo impulso all’industria venne facilitato, per le società italiane, il commercio verso l’estero; furono offerti crediti, energia e acciaio a basso costo; venne istituito l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e fu mantenuta una politica basata su bassi salari, consentendo alle industrie italiane di fabbricare beni di esportazione a prezzi competitivi. A tutto ciò si aggiunse l’aiuto fornito dagli americani attraverso il Piano Marshall che permise all’Italia di riprendersi considerevolmente. Questa iniezione di finanziamenti, sommata a una classe media in vorticosa crescita e desiderosa di acquistare prodotti di consumo dopo le privazioni della guerra, si è rivelata il tonico perfetto per la ripresa economica. Inoltre, l’Italia godeva di una fila di architetti, designer industriali e ingegneri altamente qualificati che erano in grado di progettare beni innovativi e alla moda sia per il mercato italiano che per quello estero.

Sedia “P40” (1954), disegnata da Osvaldo Borsani

Inizialmente, i designer e gli architetti italiani si concentrarono principalmente sullo styling e sull’impatto visivo dei loro prodotti, utilizzando i metodi di produzione disponibili, piuttosto che sull’innovazione tecnologica, soprattutto perché l’Italia – in quel periodo – non possedeva una tecnologia sufficientemente avanzata. Questa attenzione all’estetica ha però permesso ai produttori e agli artigiani italiani di creare beni ammirati in tutto il mondo, tanto che proprio il design è stato uno degli elementi chiave che ha portato il Paese verso il miracolo economico, trasformando l’Italia da economia rurale in difficoltà a grande esportatore e potenza industrializzata. Uno dei principali fattori alla base del “miracoloso” recupero Italiano, trainato dal design, fu proprio il fatto che in Italia ci fossero un gran numero di piccole officine artigiane specializzate: la flessibilità intrinseca di questa produzione su piccola scala si rivelò la principale risorsa della nazione poiché permise ai produttori di adattare rapidamente le proprie linee di prodotti in risposta alle ultime mode.

Vespa 150 (1955), progettata da Corradino d’Ascanio per Piaggio

Negli anni successivi al conflitto bellico, l’Italia visse – a livello stilistico – una continua lotta tra i neo-razionalisti e gli anti-razionalisti. La causa utilitarista dei primi era difesa da Franco Albini attraverso la direzione della rivista Casabella, mentre Gio Ponti – direttore di Domus – promosse il design di destra, caratterizzato da un maggior senso artistico. Molti designer seguirono il “manifesto” di Gio Ponti, in particolare il suo approccio meno utilitaristico al design che – in una società in cui i consumatori della classe media preferivano look eleganti e scultorei al blando razionalismo – acquistava maggior senso commerciale. All’inizio degli anni ’50 nacquero, così, una serie di prodotti che esemplificavano questo stile contemporaneo e alla moda marcatamente italiano, tra cui la macchina da scrivere “Lettera 22” (1950) di Marcello Nizzoli, la poltrona “Lady” (1951) di Marco Zanuso, la Vespa 125 (1951) di Corradino d’Ascanio e la sedia “P40” (1954) realizzata da Osvaldo Borsani.

Poltrona “Lady” (1951), progettata per Arflex da Marco Zanuso

Sicuramente fu la sinuosa spettacolarità della vettura da corsa Ferrari 250 TR, creata dalla Carrozzeria Scaglietti a Maranello, a segnare il punto più alto dello stile italiano degli anni ’50. Molti di questi prodotti erano caratterizzati dall’uso di curve sensuali e forme ondulate, sottolineando la nascita, nel design italiano, di un approccio scultoreo che rifletteva l’influenza delle forme aerodinamiche americane.

Ferrari 250 TR, progettata da Sergio Scaglietti nel 1957

Il lancio del premio “Compasso d’oro” nel 1954 da parte dei grandi magazzini “La Rinascente” su iniziativa di Gio Ponti dette ulteriore slancio allo sviluppo del design italiano premiando pubblicamente i produttori per progetti innovativi e promuovendo al contempo i prodotti premiati attraverso un’esposizione annuale.

“Zizi” (1953), progettata da Bruno Munari e prodotta dalla Pigomma; ottenne il “Compasso d’oro” nel 1954

Tra i vincitori di questo importante premio si distinsero la “Fiat 500” di Dante Giacosa, l’orologio da tavolo “Cifra” di Gino Valle, la lampada da terra “Luminator” dei fratelli Castiglioni, il ventilatore da tavolo “Zerowatt” di Exio Pirali e “Zizi”, una scimmietta giocattolo realizzata da Bruno Munari. Si tratta di prodotti altamente innovativi e con un’estetica lungimirante.

Orologio da tavolo “Cifra”, ideato da Remigio Solari e sviluppato dall’architetto Gino Valle; ricevette il premio “Compasso d’oro” nel 1956

L’Italia – come tutti i Paesi nell’orbita atlantica – si risollevò dalle macerie della guerra sotto l’ombrello protettivo degli Stati Uniti: il governo americano riuscì a riunificare e risanare il mercato internazionale, tanto che gli Usa incarnarono lo stile di vita di riferimento per il mondo occidentale. Grande merito va riconosciuto, però, ai progettisti italiani che seppero sfruttare l’ingegno, la creatività e l’eccellenza manifatturiera e grazie a questi elementi riuscirono a imporre la qualità e lo stile del “Made in Italy” sullo scenario internazionale.

Greta Aldeghi

Laureata in design, lettrice incallita e viaggiatrice creativa. Adora design, arte, architettura, scrittura e la ricerca senza fine di nuove esperienze da affrontare.