LetteraturaPrimo PianoTeatro e DanzaLa fine del mondo medievale e il crollo delle certezze: come teatro e letteratura hanno raccontato lo smarrimento degli uomini di fronte all’ignoto

Adele Porzia26 Agosto 2021
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I momenti maggiormente creativi della letteratura, di qualunque letteratura, sono quelli di incertezza, di drammatico buio, di inconsapevolezza del futuro. Si è appena concluso un periodo di crisi, vi è stata una rottura con tutto quello che ci ha preceduti, e il passato pare essere lontano e in alcun modo legato al presente, come se vi fosse stato un incidente nel percorso evolutivo di un secolo. Ciò che è stato, quindi, ha perso la sua funzione interpretativa e le sue formule appaiono improvvisamente inefficaci, antiquate, inadatte ai tempi correnti. E lì, proprio in quel frangente, quando si cerca di descrivere il cambiamento in atto e questo nuovo presente, si comprende la necessità di rinnovare le forme di comunicazione del passato. C’è bisogno di nuovi paradigmi, di novità che aiutino a reinventare e spiegare la realtà. Si deve fornire una chiave di lettura a quello che accade, ma le modalità devono necessariamente cambiare, perché sia possibile comunicare quel groviglio di emozioni e sensazioni del presente.

A cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, si assiste al crollo di ogni incertezza. In seguito alle numerose scoperte scientifiche, il mondo medievale era destinato a dissolversi: la Terra, non più piatta, si appresta ad assumere una forma rotonda; non è fissa, ma gira, e il sole – al contrario – è fermo, immobile, per nulla dipendente dalla Terra. A questa consapevolezza, si accompagnano le tante scoperte geografiche, le nuove terre ritrovate nei punti più remoti del pianeta: interi continenti pronti a entrare nell’immaginario dell’uomo europeo.

A farsi strada nell’animo degli abitanti di questo periodo – a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento – è un sentimento di incertezza, di inquietudine; stati d’animo in qualche modo necessari alla crescita di un individuo, di una nazione e di una letteratura. Emerge, in questi decenni, un continuo e incessante dubitare; ed è lì, quando l’inquietudine diventa preponderante, che avanza in quell’uomo di fine Cinquecento un testardo desiderio – che segue sempre a un iniziale turbamento, a quella deformante perdita di ogni certezza – di indagare con ancor più determinazione la realtà, oramai privata dalle sicurezze del passato, volgendo lo sguardo da quanto si è perso a quanto ancora si debba conoscere. E, così, a queste tante scoperte astronomiche e geografiche, si uniscono le acquisizioni in ambito medico, biologico, chimico, che esasperano questi sentimenti – angoscianti e stimolanti al tempo stesso – e costringono i poeti a trovare forme nuove per interpretare e rappresentare il mondo nuovo che hanno davanti a loro.

I sentimenti di insicurezza e irrequietezza necessitavano di nuove forme espressive, che rendessero anche stilisticamente le emozioni del nuovo secolo. La letteratura doveva perciò essere scevra dell’ordine e della pacatezza del classicismo rinascimentale; si rendeva necessaria una forma d’arte che rappresentasse l’ansia e l’incertezza dell’epoca. Il Manierismo e il Barocco, per l’appunto. Molti tralasciano le forme precise, le regole prospettiche e l’oggettiva perfezione del classicismo, nonché l’imitazione delle forme antiche e della loro bellezza estetica. Ad essere privilegiate sono forme soggettive, bizzarre, che vogliono indicare proprio quel sentimento di disagio e di angoscia, un senso di precarietà e di morte. L’artista, più che offrire una chiave di lettura al lettore del presente, sembra volerla fornire allo spettatore del futuro, garantendo a noi posteri la possibilità di intendere quanto stesse avvenendo nel cuore di quell’epoca di mezzo.

Lo scopo, allora, diviene colpire il lettore e farlo meravigliare. Si sviluppa, quindi, un’arte che non imita più la natura, ma che vuol dilettare il pubblico e distrarlo dal presente ignoto e dall’incertezza del domani. Farlo pacificare con i suoi demoni, senza però relegarli completamente nell’ombra. È un atto di ammaestramento, di manipolazione, non di soppressione dei sentimenti. E, infatti, ne abbiamo un chiaro esempio nel teatro, di cui il Seicento è il periodo per eccellenza. Il teatro si rivela essere la sola forma letteraria, la sola formula d’intrattenimento, che riesca davvero a cogliere i dubbi e i timori di chi vive quel periodo, il senso di futilità che lo pervade, che si identifica nella maschera dell’attore.

Diviene materia letteraria la vita stessa in quanto illusione, spettacolo destinato a concludersi, in cui tutti recitano una parte, destinata a finire, insieme alla chiusura del sipario, all’approssimarsi della fine di tutto. L’uomo del secolo non riesce a imporsi sul reale e questo si intravede nello sforzo dell’artista di incasellare la sua soggettività in forme eccessive, celebrali, artificiose e incompiute. Un secolo pieno di dubbi, che si serve dell’allegoria per indicare la fugacità della vita, destinata a finire come un sogno. Esattamente come accade nelle opere teatrali di Pedro Calderón de la Barca, in William Shakespeare o in Molière. Distrarre, sì, ma senza far dimenticare completamente al lettore quello che sta vivendo e quanto possa essere costruttivo per il futuro questo incessante dubitare, non fermarsi al certo, al noto, ma varcarne i così ben definiti confini, per accedere a quello che ancora non si conosce.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.