LetteraturaPrimo PianoLa fantasmagoria delle immagini in Tommaso Landolfi

Monica Di Martino27 Luglio 2019
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Il gioco fra elementi reali e surreali (se non grotteschi), fra discettazioni filosofiche e viva ironia è l’esercizio letterario tipico di uno scrittore novecentesco: Tommaso Landolfi. Collaborando ad alcune riviste, esordisce con il Dialogo dei massimi sistemi, una raccolta di sette racconti che descrivono situazioni imprevedibili e inspiegabili. Lo stesso avviene ne La pietra lunare, un romanzo in cui si evince il senso di paura e di orrore dell’uomo nei confronti del mondo e che l’autore cerca di attenuare con la parodia e il gioco. La scelta narrativa, spesso fantastica, comporta un distacco dalla materia trattata e – nello stesso tempo – un maggiore coinvolgimento, anche nei confronti del lettore. Landolfi, infatti, sceglie delle soluzioni espressive che hanno il compito di mediare gli sviluppi del racconto, riportandolo a una situazione di normalità prima che avvengano i fatti. Di più, il procedimento digressivo tende a prolungare i tempi e a preparare “la scena” – paurosa e notturna – dove stanno per compiersi incredibili avvenimenti. Il protagonista del romanzo è un giovane studente che si trova alle prese con la “capra mannara” Gurù, una fanciulla affascinante che ha due zoccoli forcuti al posto dei piedi. Nonostante le stranezze, è attratto dalla ragazza, con la quale allaccia un rapporto affettivo. Una sera, lei lo conduce sulla montagna facendolo entrare nel suo mondo lunare ad assistere a tutto ciò che avviene in quella dimensione. Nel racconto la realtà quotidiana si confonde e gioca con l’assurdo; lo stesso vale per il protagonista che – talvolta – assiste passivamente agli avvenimenti, talaltra ne prende posizione. Anche se la narrazione si presenta come una rappresentazione di fatti realmente accaduti, l’autore trae spunto da una certa tradizione orale, tipica del mondo contadino: i fantasmi e le streghe che si trasformano in animali e che, nelle notti di plenilunio, partecipano a riti magici e alle feste del “sabba”.

Una narrativa fantastica, quindi, che lascia intravedere – tra attrazione e ripugnanza – il rapporto che Landolfi ha con la natura e gli animali; ciò sarà ancora più evidente nei racconti Il mar delle blatte, La spada e Le due zittelle. Talvolta, gli scritti assumono una forma diaristica e rimandano alla dimensione dell’esistenza come entità impalpabile e sfuggente. Un esempio in tal senso è Racconti impossibili, il cui titolo esemplifica questa caratteristica. Ed è ancora con Le labrene che l’aspetto di lucida follia volge verso soluzioni allegoriche e surreali: dopo aver perso i sensi, in seguito al «contatto della turpe bestia», il protagonista sperimenta una sorta di morte apparente durante la quale assiste, ascoltando, a tutto ciò che avviene intorno; quando – infine – esce da questo stato, si riscopre in una stanza dalle «smorte pareti imbottite» e, impossibilitato a muovere mani e braccia, «quasi fossero avvinte in croce sul petto», si accorge della labrena, geco dagli «occhi sporgenti» che «spia l’opportunità di venirmi a petto, di venirmi a faccia a faccia».

Monica Di Martino

Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.