CinemaPrimo PianoLa destrutturazione delle certezze: “Onora il padre e la madre” di Sidney Lumet

Nadia Pannone15 Novembre 2019
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Tra i principi fondanti della società occidentale, quello della famiglia è probabilmente il più consolidato e inviolabile. L’idea che qualsiasi cosa accada, anche nella situazione apparentemente più insormontabile, si possa sempre ritrovare un rifugio sicuro nel sangue del proprio sangue è uno di quei pochi e confortanti pensieri che permettono all’individuo di affrontare gli ostacoli della vita. Un’idea che, per la sua rilevanza e per la sua importanza come monito, si è sempre rispecchiata inevitabilmente nell’arte. Tuttavia, nel cinema americano degli ultimi decenni, sono numerose le storie in cui il legame di sangue finisce per non essere onorato come avrebbe meritato. Tra queste, ne spicca una firmata da Sidney Lumet – gigante della New Hollywood – che con il suo ultimo film Onora il padre e la madre (Before the Devil Knows You’re Dead, 2007) demolisce con occhio cinico e spietato proprio quel baluardo dei valori tradizionali, consegnando un testamento esemplificativo della sua opera, orientata all’osservazione invariabilmente critica della società americana.

Quello a cui ci troviamo di fronte è uno stratificato dramma familiare, le cui traversie si evolvono in un inarrestabile vortice di tradimenti, vendette, disperazione e violenza. Un quadro desolante da cui nessun personaggio esce immune: nessuno di loro è giustificabile eppure sarà automatico provare a comprendere le ragioni ora di uno, ora dell’altro, seguendo con angoscia il ritmo della narrazione, sempre più teso – anche grazie alla colonna sonora di Carter Burwell – mano a mano che il cerchio va a restringersi attorno ai protagonisti, verso un epilogo che non darà spazio ad alcuna speranza, come intuibile sin dai primi minuti. Andy (Philip Seymour Hoffman) e Hank (Ethan Hawke) sono due fratelli che, alle prese con gravi ristrettezze economiche, decidono di fare la cosa più semplice e allo stesso tempo più meschina che dei figli possano fare: rapinare i propri genitori. Per Andy si tratta della soluzione perfetta a tutti i loro problemi: nel negozio ci sarà solo la commessa, i genitori riscuoteranno i soldi dell’assicurazione, nessuno si farà male e loro potranno finalmente tornare a respirare. Tuttavia, un atto tanto spregevole non può non comportare delle conseguenze. Sarà, anzi, la miccia che innescherà una serie di effetti a catena che porteranno i personaggi a ritrovarsi in situazioni limite, faccia a faccia con i propri fallimenti e debolezze.

Lumet decide di frazionare la storia e, partendo proprio dalla rapina, di presentarla allo spettatore da più punti di vista. La scelta è assolutamente funzionale alla disgregazione spirituale e fisica dei personaggi e permette l’immersione totale nella loro psiche, nonché una riflessione sulle loro colpe e motivazioni. Da un lato c’è Hank: un uomo dalla vita costellata di insuccessi. Il suo dissesto economico lo rende automaticamente un fallito agli occhi di una venale ex moglie e, soprattutto, di una figlia che si vergogna di suo padre perché incapace di permetterle lo stesso stile di vita dei suoi amici. È proprio questa convinzione di essere inadeguato a paralizzarlo e a non consentirgli mai di prendere l’iniziativa e di assumersi le proprie responsabilità; Hank è un codardo perché non può essere altrimenti e – nel bene e nel male – accetterà sempre passivamente le decisioni di qualcun altro, siano anche quelle disperate di suo fratello. Andy, dal canto suo, ostenta una sicurezza caratteriale ed economica che non fa altro che celare una vita altrettanto sfaldata: «La mia vita è fatta di pezzi scompagnati e io non sono la somma delle mie parti… la somma delle mie parti non dà un intero. Un me intero». I problemi con sua moglie, il suo lavoro e suo padre lo sopraffanno; l’unico attimo di serenità è quello provocato dall’eroina, somministrata regolarmente da un indifferente spacciatore in un lussuosissimo e asettico attico di New York.

Lo stimolo che muove le azioni dei due protagonisti è, a un primo livello, il denaro. Hank è un fallito perché non ha denaro, Andy ha bisogno di denaro per mantenere una vita all’apparenza invidiabile; il denaro vale più della propria integrità, più della vita dei propri cari. Neppure una volta i due fratelli prenderanno in considerazione l’idea di assumersi le proprie responsabilità riguardo alla tragica vicenda: dinanzi al denaro qualsiasi obbligo scompare. Il denaro, tuttavia, è anche uno strumento di controllo, tradimento e vendetta, volto a ripristinare o a rovesciare un equilibrio tra due generazioni: quella dei padri e dei figli. Non si tratta solo di denaro, ma di un bisogno di rivalsa nei confronti di una generazione che è stata in grado di costituire una stabilità irripetibile dalla propria progenie ma che, in virtù di questo, ha avuto come obiettivo primario quello di salvaguardarla a tutti i costi, ponendola al di sopra dei sentimenti e considerandola come il bene più prezioso da trasmettere ai propri figli, prima ancora della comprensione. A una generazione basata su valori tradizionali e imprescindibili, caratterizzata non solo dalla solidità economica ma anche affettiva (basti pensare alla relazione decennale dei genitori), ne sussegue un’altra dilaniata dai ritmi della modernità e immersa in una realtà precaria, che si ripercuote sulle esistenze di chi la vive: questo i padri non lo hanno mai compreso appieno e i figli, in uno sterile tentativo di vendetta, glielo urlano in faccia nel più misero dei modi.

Ma se Lumet mette in scena dei figli che non “onorano il padre e la madre”, allo stesso modo il suo sguardo brutale trafigge anche i padri che, se non avevano compreso le motivazioni, ora non perdonano le conseguenze. Ecco che la destrutturazione della famiglia giunge a compimento: il proprio sangue non è più un porto sicuro, bensì una trappola repressiva senza scampo. In Onora il padre e la madre non c’è redenzione; i personaggi non si evolvono, piuttosto esibiscono in maniera sempre più estrema le proprie inquietudini, fino ad arrivare a un punto di non ritorno. Nel finale non c’è spazio per gli eroi e per l’assoluzione; solo per una realtà spietata e quanto mai concreta: quella del cinema di Sidney Lumet.

Nadia Pannone

Basta poco a renderla felice: un buon film, un po' di musica anni Ottanta, una libreria, qualche conversazione stimolante, un lago, delle luci al neon, una piazza deserta e assolata, delle foto vintage, una coperta e un buon caffè.