LetteraturaPrimo PianoLa cultura della vendetta nella Roma antica: il caso del supplizio di Mezio Fufezio

Alice Massarenti9 Aprile 2021
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L’istinto e la pratica della vendetta erano profondamente radicati nella cultura romana. Anche dopo che la vendetta personale fu vietata, l’idea che la pena servisse a dare conforto e soddisfazione a chi aveva subito il torto permane nella mentalità di Roma. Una prova proviene, ad esempio, dal giurista Callistrato, il quale riteneva che la pena di morte dovesse essere applicata in pubblico nel luogo dove era stato commesso il reato, per confortare le vittime e i parenti. La coscienza sociale riteneva la vendetta una pratica nobile anche quando l’unica consentita dalla legge era quella della pubblica esecuzione di una pena capitale. Allo stesso tempo chi aveva trascurato di vendicare la morte dei propri cari poteva incorrere in sanzioni; fino all’età imperiale, infatti, evitare di chiedere vendetta per il genitore ucciso era considerato causa di indegnità a succedere al defunto.

Se farsi vendetta personalmente era stato vietato, chi trasgrediva non sempre veniva considerato un assassino: esisteva, ad esempio, la “lex Iulia de aduteriis” di Augusto, che consentiva a un marito (o padre) di uccidere l’amante della moglie (o la figlia). Col passare dei secoli, i limiti dell’impunità maritale finirono per allargarsi; la cultura della vendetta svolse quindi un ruolo importante per tutto lo sviluppo della storia romana, sia nei rapporti privati che in quelli pubblici, poiché la “civitas” riteneva di doversi vendicare di nemici, amici infedeli o traditori, come nel caso di Mezio Fufezio.

Secondo il racconto di Tito Livio, Mezio Fufezio – re di Alba – stabilì la pace con il re Tullo Ostilio e si alleò con i romani. Ma non era sincero nelle sue intenzioni: segretamente cercava di incitare i popoli vicini alla ribellione. Le sue trame e le sue promesse di sostegni portarono gli abitanti di Fidene ad allearsi ai veienti e a dichiarare guerra a Roma. Il re Tullo quindi chiamò il suo alleato Mezio per affrontare l’attacco. Mezio si schierò al suo fianco, ma durante la battaglia non si comportò come avrebbe fatto un compagno fidato: mentre lo scontro imperversava, lui temporeggiava, allo scopo di studiare l’esito del combattimento e unirsi al contendente che avrebbe vinto. I romani, visto il suo comportamento, avvisarono il loro re di quanto stava succedendo. Nelle Storie è narrato che il re di Roma fece voto di istituire un nuovo collegio sacerdotale e di fondare un tempio dedicato a Pallore e Terrore. Poi Tullo decise di usare l’astuzia per volgere a suo favore l’esito della battaglia: gridò che gli alleati stavano per compiere una manovra di aggiramento dei nemici, per suo ordine, così che questi – che ben comprendevano la sua lingua – perdessero fiducia nell’attacco e fuggissero spaventati. I romani vinsero quella battaglia e Mezio andò subito a complimentarsi con il suo alleato, credendo che nessuno si fosse accorto delle sue manovre. Il re Tullo mostrava di essere soddisfatto del suo comportamento, lo ringraziò e invitò Mezio a unire il proprio accampamento a quello dei romani. Il giorno dopo, senza che il traditore sospettasse nulla, fu convocata un’assemblea. Gli alleati, per ordine di Tullo, furono fatti avanzare fino al centro, dove potevano essere facilmente circondati, poi il re parlò ai suoi soldati lodando il loro valore e, dopo aver narrato gli accadimenti della giornata precedente, rivelò che Mezio era il traditore che aveva voluto la guerra e aveva tradito il patto di alleanza. Riconobbe che non tutto il popolo di Alba era colpevole, e neppure i soldati, che stavano semplicemente seguendo gli ordini del loro comandante. La colpa del tradimento cadeva tutta su Mezio. A questo punto parlò direttamente al re di Alba per comunicargli la sua decisione: dato che era la stessa natura di quell’uomo a essere incorreggibile, non c’erano punizioni che avrebbe potuto applicare, soltanto un supplizio capitale avrebbe insegnato a lui e a tutta l’umanità la sacralità del patto violato. Per infliggergli una pena simile al comportamento che Mezio aveva tenuto, diviso tra le due armate mentre attendeva la vincitrice, sarebbe stato legato a due quadrighe poi lanciate in direzioni diverse, in modo che il suo corpo venisse squarciato.

Nel II secolo a.C. gli intellettuali analizzarono il supplizio di Mezio per discutere della funzione della pena. Era un deterrente o una vendetta? Abbiamo ritrovato nel XX libro delle Notti Attiche di Aulo Gellio (125 d.C.-180 d.C.) il resoconto di un dibattito tra il giurista Sesto Cecilio e il filosofo Favorino che sostengono tesi opposte, poiché il supplizio inflitto al re di Alba aveva le sembianze di una vendetta pubblica attuata dal re di Roma per conto della collettività. Lo spirito di vendetta nel mondo romano, quindi, ispirava numerose iniziative e dava vita a molti supplizi, istituzionali e non.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.