LetteraturaPrimo PianoLa comprensione anticipata e quella tardiva nella letteratura

Adele Porzia11 Novembre 2021
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La mitologia greca abbonda di grandi personaggi e di bellissime storie, che non mancano di essere interessanti, nonché di ispirazione, ancora adesso, a distanza di tantissimi anni. Una prova, se vogliamo, della potenza di certe immagini e di certe culture, che finiscono con l’essere maestre di letteratura per tutte le civiltà successive. Nel libro di Antonio Tabucchi Di tutto resta un poco, c’è un saggio che si intitola Orizzonti, tra i più interessanti di questa raccolta, in cui lo scrittore e studioso fa una riflessione su Pier Paolo Pasolini e Carlo Emilio Gadda. Secondo Tabucchi, il primo è stato in grado di capire l’avvenire della società italiana con grande anticipo, mentre il secondo ne ha colto gli sviluppi con un certo ritardo. Si tratta in un caso di comprensione anticipata e nell’altro di comprensione tardiva.

E, allargando lo sguardo, si può notare come siano davvero molti anche i personaggi che capiscono troppo tardi delle situazioni piuttosto evidenti. Quando finalmente vedono la realtà per quella che è, in loro nasce un sentimento di rimpianto o, come la definisce Tabucchi, «un’emozione gonfia di un turbamento devastante», il senso di colpa di non aver inteso in tempo e, quindi, di non aver agito al momento opportuno. Un sentimento umano, universale, che riguarda assai più individui, spesso e volentieri affetti da questa particolare forma di cecità. Questo pentimento che si prova, infatti, è dovuto spesso alla volontà di non vedere, di fare finta di nulla ed è stato definito dal filosofo Vladimir Jankélévitch «nostalgia dell’irreversibile». È una nostalgia, quindi, nei confronti di quello che non c’è più e che non può in alcun modo ripetersi. Sfocia in rabbia nei confronti di se stessi, in una forma di avversione ed esecrazione. Amleto, per esempio, soffre di questa comprensione tardiva e così Don Chisciotte, perché ritardano la comprensione della realtà, finché non è troppo tardi. A quel punto, perdono il loro significato simbolico e la loro morte diviene metafora della loro inevitabile inutilità. Perfino molti scrittori, come ha intuito Leonardo Sciascia, hanno rimandato alla vecchiaia la loro opera più famosa e congeniale, nonostante avrebbero potuto scriverla durante la giovinezza. Ma questa è un’altra storia.

Nella mitologia, le capacità di capire in anticipo o parecchio in ritardo venivano attribuite a Prometeo e a Epimeteo, due fratelli gemelli. Prometeo aveva la facoltà di prevedere, di profetizzare, di vedere nel futuro un determinato evento. Aveva la “prométheia”, o “prónoia”, da qui il suo nome, che non è semplicemente la capacità di vedere in anticipo ma di riflettere, di pensare e immaginare un evento prima che si verifichi. Era proprio per questa sua particolare attitudine che aveva creduto di poter ingannare gli dei e scampare a una punizione per il furto del fuoco. Epimeteo, invece, è colui che capisce dopo e che riflette su un avvenimento quando ormai è troppo tardi. Entrambi sono puniti dagli dei perché non vivono seguendo il tempo orario che è stato loro dato, ma l’uno va troppo avanti e l’altro resta troppo indietro. I due fratelli, quindi, sono due facce della stessa medaglia, due comportamenti che, seppure antitetici, portano alla stessa conseguenza.

Eppure, in Omero non manca una figura che riesca a coniugare queste due facoltà, e che intende passato e futuro, pur restando nel presente: Odisseo. L’eroe tiene l’occhio fisso sul presente, sull’istante, sull’attimo che fugge. Questa capacità di capire perfettamente l’evento nel momento stesso in cui si verifica potremmo chiamarla “métis”. Métis è una divinità protettrice, tra le più antiche del “pantheon” greco. Presente nelle teogonie orfiche, è una divinità primordiale, origine del mondo e guida delle vicende umane. La “métis” può essere intesa come «previsione sapiente» o «previsione informata», perché consiste nell’individuare nel presente i segni del futuro e del passato, prevedere e ricordare al contempo. È un tipo di intelligenza paradossale perché chi la possiede è in grado di prevedere; quindi, vedere nel futuro quello che accadrà, ma allor stesso tempo sapientemente di ricordare il passato, agendo proprio grazie a ciò che sa.

Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant, due grandi grecisti e antropologi classici, hanno scritto un libro ancora adesso fondamentale: Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia. Nell’opera, all’interno di un saggio dedicato alla figura di Antiloco, i due studiosi prendono in esame il XXIII canto dell’Iliade, in cui avvengono i giochi. Gli autori, in particolar modo, si soffermano sulla corsa dei carri, dove è più che mai necessario fare uso di questa “métis”. Il giovane Antiloco viene esortato dal vecchio Nestore a fare uso di questo particolare tipo di intelligenza, ma essendo ancora giovane non ha l’esperienza necessaria per adoperarla. Vive il presente e concentra la sua attenzione sul flusso temporale che sta vivendo. Scambia la “métis” con l’astuzia, con l’intelligenza concentrata sull’attimo. È diverso da Odisseo, che invece riesce ad anticipare il futuro grazie al passato e, quindi, ad attribuire al passato una dimensione futura. È stare nel presente, certo, ma coniugando passato e futuro. Eppure, chissà perché, a conti fatti la comprensione anticipata e quella sapiente risultano essere meno affascinanti e vicine all’essere umano rispetto alla comprensione tardiva. Sarà che in noi aleggia quel desiderio di infelicità, proprio di chi capisce troppo tardi o, più probabilmente, accetta troppo tardi la verità.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.