LetteraturaPrimo Piano“Kubla Kahn”: la visione nel sogno di Samuel Taylor Coleridge

Lucia Cambria13 Aprile 2020
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In una casa di campagna tra Porlock e Linton, Samuel Taylor Coleridge assumeva dell’oppio. Messosi alla lettura di Purcha’s Pilgrimage, si addormentò e fece un sogno che ha poi generato la scrittura di Kubla Khan. Una distrazione, la visita di un tale di Porlock, ha poi fatto svanire tutto, costringendo il poeta a lasciare il poemetto incompleto. Dopo questa interruzione, Coleridge infatti non fu più in grado di richiamare alla mente tutto quello che aveva sognato e che aveva intenzione di trasporre in versi. L’anno di scrittura è il 1797, un anno prima della pubblicazione della monumentale raccolta poetica Lyrical Ballads, considerata il manifesto del movimento romantico inglese.

La poesia si inquadra nel filone della poesia della visione, che irrompe, come una sorta di fiume carsico, tra i secoli XIX e XX nella poesia inglese: dal pre-romantico Blake alle composizioni visionarie dell’irlandese Yeats.

Coleridge tramuta quindi le sue visioni in versi ma, a loro volta, queste visioni provengono da una fonte letteraria: Purcha’s Pilgrimage è l’abbreviazione di un libro scritto da Samuel Purchas nel 1613, dal lungo e paradigmatico titolo Purchas His Pilgrimage: or Relations of the World and the Religions observed in all Ages and Places discovered, from the Creation unto this Present (Il pellegrinaggio di Purchas: le relazioni del mondo e le religioni osservate in tutte le epoche e luoghi scoperti, dalla Creazione al presente), contenente una serie di racconti di viaggio.

La poesia venne composta nel 1797 ma non venne subito pubblicata, anche perché si trattava di un frammento, di un’opera che doveva inizialmente avere tra i 200 e i 300 versi. La pubblicazione avvenne solo nel 1816, su consiglio di Lord Byron.

Successivamente alla sua composizione, Coleridge leggeva periodicamente la poesia ai sui amici, senza aver l’intenzione di renderla pubblica. Kubla Kahn uscì con Christabel e The Pains of Sleep col sottotitolo A Fragment, per puntualizzare il fatto che si trattasse di un’opera incompleta e per difenderla così da eventuali critiche. Nell’ultima raccolta, il poeta vi aggiunse anche Or, A Vision in a Dream, poiché vi allegò anche una prefazione nella quale venivano spiegate nel dettaglio le circostanze di composizione di quei versi.

La sensazione che Kubla Khan sia un risultato laconico rispetto a quella che deve essere stata la visione originaria, viene comprovata dalla struttura stessa della poesia. Già visivamente si avverte una certa irregolarità, si intuisce cioè la natura prettamente frammentaria del componimento: ogni strofa è diseguale l’una dall’altra, sia per il numero che per la lunghezza dei versi. In questo modo sembrano riprodurre la natura intermittente dei ricordi nella mente del poeta.

L’opera, composta da tre stanze irregolari, varia la propria ambientazione nello spazio e nel tempo. Nella prima stanza vengono descritte le origini di Xanadu, la città mongola fatta edificare da Kubla Kahn, da cui deriva il titolo della poesia. Il paesaggio dipinto è un luogo circondato da mura di fortificazione e da giardini lussureggianti. Un sacro fiume scorre tra i boschi, l’Alfeo, nelle cui acque si specchia l’edificio chiamato il «duomo di delizie». La cornice che Coleridge dipinge per il fiume del Peloponneso è un ambiente carico dettagli:

 

E in questa danza di pietre e cristalli
il fiume sacro nasceva improvviso

 

L’ultima parte sposta il soggetto della narrazione e stavolta è il poeta stesso a parlare, dicendo di come avesse avuto la visione di una donna che suonava un salterio, la cui melodia, così come tutto il contesto della poesia, desta solo un ricordo non ben definito:

 

Potessi in me resuscitare
Quel suo canto e melodia,
Vinto di gioia ne sarei,
Di piena musica nell’aria
Quel duomo anch’io fabbricherei,
Quelle grotte di ghiaccio, la cupola di sole!
E ognuno che ascoltasse li vedrebbe,
Tutti gridando: attento! Attenti!
I suoi occhi di lampo, le sue chiome fluenti!
Fargli tre volte intorno un cerchio,
Chiudi gli occhi con santo timore,
Perché con rugiada di miele fu nutrito
E bevve latte di paradiso.

 

Questa fanciulla è stata dai critici identificata con Mnemosine, la personificazione della memoria. Elemento portante dell’intera poesia, poiché tutto ruota attorno alla perduta capacità di ricordare e di fare riaffiorare alla mente degli elementi dei quali se ne avverte ormai solo una vaga sensazione. Lo stato di beatitudine viene raggiunto da Coleridge attraverso espedienti che solo al poeta è concesso conoscere: «rugiada di miele» e «latte di paradiso« sono l’essenza dell’ispirazione poetica, la quale è vista al pari di una rivelazione divina.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.