LetteraturaPrimo PianoJohn Keats e il suo viaggio nei reami d’oro della poesia

Lucia Cambria20 Aprile 2020
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Se c’è una poesia attraverso la quale ben traspare il ruolo che la letteratura ha nell’evadere momentaneamente dalla propria esistenza è On First Looking into Chapman’s Homer (Guardando per la prima volta l’Omero di Chapman) di John Keats. La breve vita del poeta romantico inglese, ammalatosi molto presto di tubercolosi e spentosi all’età di venticinque anni in un appartamento di Piazza di Spagna, oggi Keats-Shelley House, è stata senza dubbio permeata di una più impetuosa devozione nei confronti della poesia.

Composto nel 1816, si tratta di un sonetto che descrive un viaggio d’esplorazione immaginario fatto attraverso la lettura di un libro, precisamente la lettura delle opere di Omero tradotte in inglese da George Chapman, un drammaturgo e traduttore vissuto tra il XVI e il XVII secolo. La traduzione di Chapman, risalente al 1616, venne fatta conoscere a Keats da Charles Cowden Clarke, studioso shakespeariano e amico del poeta. Nel periodo in cui scrisse questo sonetto, si trovava ospite presso di lui: Clarke scrisse di come Keats esclamasse di gioia a ogni passaggio che considerava particolarmente bello. Il mattino dopo aver letto insieme quel libro, Clarke trovò il sonetto poggiato sul tavolo. La poesia venne pubblicata su The Examiner, il primo dicembre 1816.

Keats aveva imparato il latino, ma non il greco. Fu grazie a Clarke che conobbe, oltre a tutti i poeti elisabettiani, anche un altro importante autore dell’epoca, Chapman, appunto, che aveva curato la traduzione in inglese del poeta greco. L’attività del traduttore richiede una grande responsabilità, poiché gli viene affidata l’opera di uno scrittore per interpretarne il pensiero, la finezza poetica, e restituirli nella maniera più intatta possibile ai lettori. Keats dimostra nei confronti di Chapman proprio questa riconoscenza, affidando inoltre le proprie peregrinazioni immaginarie non a Omero, ma al suo traduttore, tanto da definirlo, nel sonetto, «fealty», ovvero «fedele». E così come Chapman è stato fedele ai versi omerici, così la sua fantasia può volare sulle ali di quelle parole che cambiano sì la forma, ma non la sostanza. E se c’è qualcosa può mutare le sensazioni provate, quella cosa è proprio la forma, e qui entra in gioco la riconoscenza nei confronti del traduttore.

Keats aveva ovviamente già letto l’Iliade e l’Odissea, ma questa nuova versione è stata per lui come fare una nuova scoperta, come esser tornato al momento in cui non aveva ancora letto quelle opere e doveva accingersi a conoscerne il contenuto. Per tale motivo paragona la propria esperienza a quelle degli esploratori o degli astronomi autori di scoperte sensazionali capaci di mutare il destino dell’umanità. La lettura è per Keats un viaggiare continuo, per questo dice «Much have I travell’d in the realms of gold», («Molto ho viaggiato per i reami d’oro»), il che equivale per lui a “ho letto moltissimi libri”, i «reami d’oro» sono infatti i mondi generati dalla poesia.

Racconta di come abbia letto di Omero e del suo poderoso intelletto, ma solo di come dopo aver letto Chapman si sia sentito come se avesse respirato la stessa sua aria, come se avesse viaggiato non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Ed ecco che «Then felt I like some watcher of the skies / When a new planet swims into his ken » («Allora mi sentii come un osservatore dei cieli / Quando un nuovo pianeta nuota innanzi a lui»). Nei versi successivi il paragone è invece fatto con Cortez:

 

Or like stout Cortez when with eagle eyes
He stared at the Pacific—and all his men
Look’d at each other with a wild surmise—
Silent, upon a peak in Darien.

(O come il forte Cortez quando, con occhi d’aquila / osservava il Pacifico – e tutti i suoi uomini / si guardavano l’un l’altro con una tensione selvaggia – silenzioso, su una sommità a Darien)

 

Il ritmo del sonetto trasporta il lettore nello stesso vortice che colpì Keats con la lettura della traduzione di Chapman: un movimento che coinvolge pianeti che circolano nello spazio e navi che circumnavigano la terra. La poesia segue il moto di questi oggetti conducendo l’immaginazione del lettore altrove, quasi in un nuovo mondo in cui le distanze si accorciano.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.