LetteraturaPrimo PianoJohn Clare, il poeta della terra

Lucia Cambria27 Dicembre 2021
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John Clare è stato considerato “the quintessential Romantic poet” (“il poeta Romantico per antonomasia”). Definito il poeta contadino, per le sue occupazioni concernenti il mondo dell’agricoltura e per le umili origini dei propri genitori (i quali erano anche analfabeti), Clare ha espresso nelle proprie poesie una passione sincera per il mondo della natura e per la tradizione orale, permeandole di una spiccata sensibilità e dotandole di riflessioni circa la solitudine e la vita. I suoi versi conferiscono luce al mondo rurale ed esaltano il suo amore per la moglie Patty. Sebbene la sua prima raccolta di poesie – Poems Descriptive of Rural Life and Scenery (Poesie descrittive di vita e scene rurali) – abbia riscosso particolare successo, la maggior parte della sua produzione letteraria venne conosciuta solo molti anni dopo la sua scomparsa.

Nato nel 1793 nel piccolo villaggio inglese di Helpston, Clare ricevette una formazione scolastica molto esigua: frequentò la scuola solo per alcuni giorni all’anno fino all’età di dodici anni, quando si recò invece alla scuola serale. Nonostante questa scarsa presenza tra i banchi, il giovane poeta iniziò ben presto una formazione da autodidatta, leggendo libri nel proprio tempo libero. Sebbene la maggior parte delle sue giornate fossero occupate dal lavoro nei campi, Clare trovò il modo di avvicinarsi alla poesia, in particolare con The Seasons di James Thompson, opera grazie alla quale scrisse anche i suoi primi versi. Questi venivano letti dal giovane poeta ai genitori, i quali furono così i primi critici inconsapevoli delle sue poesie: Clare leggeva quelle poesie senza dire che fossero sue, eliminando ciò che a loro non piaceva.

Nel 1820 giunge la prima pubblicazione, Poems Descriptive of Rural Life and Scenery, edita da John Taylor, che aveva anche pubblicato le opere di John Keats. Questa raccolta poetica si rivelò un vero successo: vendette oltre tremila copie e fu ristampata per quattro volte in un anno. Da questa raccolta traspare tutta la grande capacità descrittiva di Clare, in particolare nella poesia Noon (Mezzogiorno), in cui la canicola e l’aria torrida sembrano gocciolare densi e ardenti:

 

«Mentre l’occhio abbagliato scruta
Tutt’intorno un liquido bagliore;
E in mezzo al torrido barlume,
Se si guarda bene, sembra
Come se dei frammenti deformi di vetro
Transitino ripetutamente»

 

Tra il 1821 e il 1835 continuò a pubblicare raccolte poetiche, ma queste non incontrarono il favore della critica come l’opera precedente. La sua salute, sia fisica che mentale, era nel frattempo peggiorata sempre più, tanto che il suo medico gli consigliò di ricoverarsi in un istituto psichiatrico, l’High Beech Asylum. Alcuni anni dopo, nel 1841, si allontanò dall’istituto a piedi e raggiunse casa sua quattro giorni dopo. Le condizioni sempre peggiori lo portarono però dopo pochissimo tempo a un nuovo ricovero: questa volta al Northampton Lunatic Asylum, dove sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 1864.

Il malessere psicologico del poeta trasuda da molti dei suoi componimenti, in maniera particolare dalla poesia I Am, scritta tra il 1844 e il 1845, nel periodo in cui si trovava già al Northampton Lunatic Asylum. Da questi versi è evidente un desiderio di annichilimento, di totale annullamento e di regressione del prorio io: un vero e proprio desiderio di essere restituito alla terra, lì dove tutto per John Clare ha avuto inizio.

 

«Io sono – ma cosa sono a nessuno importa;
Dagli amici dimenticato come una smarrita memoria:
Io sono il fruitore dei miei dolori –
Essi sorgono e svaniscono nell’oblio,
Come ombre nei deliranti spasmi dell’amore
Eppure io sono, io vivo – come vapori gettati

Nel nulla del disdegno e del fragore,
Nel mare vivo di sogni a occhi aperti,
Ove non c’è segno né di vita né di gioia,
Ma solo l’immenso naufragio dei miei meriti;
Persino le persone più care che ho amato di più
Mi sono ora estranei – o, piuttosto, più estranei degli altri.

Bramo luoghi in cui non vi sia impronta umana
O dove non una donna abbia sorriso o pianto
Per dimorarvi col mio Creatore, Dio,
E dormire il dolce sonno dei bambini,
Senza turbare e senza essere turbato, ove giaccio
Sull’erba – la volta del cielo sopra di me»

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.