LetteraturaPrimo PianoImmortale per caso: come Max Brod rese famoso Franz Kafka

Adele Porzia27 Gennaio 2022
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E adesso parliamo di Kafka, nulla di più complesso. Ma si sa che le imprese più difficili sono sempre quelle che andrebbero ricordate, nonché fomentate. E, perciò, come potremmo sottrarci a una tale sfida, rinunciando così a parlare di uno di quei colossi, indiscussi geni, quei grandi che nascono una sola volta ogni secolo, solo per rivoluzionarci la vita e cambiare per sempre la letteratura? Certamente, il lettore si sta domandando come può essere considerato questo amatissimo (e odiatissimo) scrittore adatto all’epoca vigente. Ma la grande verità è che Kafka combacia e aderisce perfettamente al periodo che stiamo vivendo e a questo nostro 2020. Si confà alla soffocante mascherina e all’ansia del futuro effettivamente meglio più di qualsiasi altro scrittore, toccando tematiche ed emozioni che abbiamo provato assai spesso in questa così stravagante e imperscrutabile annata.

Ci troviamo – a voler essere tragici, o forse no – come quegli sconsolati abitanti del secolo passato, a cavallo tra due epoche, con la consapevolezza (drammatica) di ignorare quel che sarà e alla perenne ricerca di indizi per comprenderlo. Mai, forse, siamo stati così vicini a quei sentimenti così ben descritti da Franz Kafka, come l’alienazione, l’idea di essere intrappolati in giornate sempre uguali, in un eterno labirinto dove ogni strada si ripete, l’idea di non poter controllare le nostre stesse azioni e la consapevolezza di non aver alcun potere su tutto quello che ci accade.

Una realtà che appare sempre più grottesca e irreale, nella quale ci troviamo a ridere di noi stessi e degli altri, proprio come faremmo leggendo attentamente un romanzo di Kafka. Come tanti Gregor Samsa, ci svegliamo in insetti giganti e accettiamo senza alcun cipiglio la nostra metamorfosi, sconvolgendoci solo per il fatto che sia già mattina e che la notte sia già trascorsa. Anzi, precisamente ci svegliamo scarabei – come scoprì Vladimir Nabokov – e non scarafaggi, come la critica ha per anni ritenuto.

Eppure, quando Franz Kafka era in vita, non immaginava che un giorno tutte le sue pagine sarebbero state oggetto di un’indagine così puntuale, alla ricerca – diremmo – del segreto ultimo della sua prosa e di una spiegazione psicanalitica del suo genio. E, ad essere onesti, neppure gli interessava tanto la gloria ed era tanto scontento dei suoi scritti che, in punto di morte, domandò al suo migliore amico Max Brod di bruciare la sua intera opera perché non rimanesse altro di lui se non un raccontino che aveva pubblicato e un pallido ricordo nella mente delle sue amanti.

Max Brod giurò: le fiamme avrebbero distrutto tutto. Eppure, non lo fece e quanto gli siamo grati della sua provvida slealtà. Questo perché aveva intuito che ci fosse qualcosa di straordinario nelle sue pagine e volle a tutti i costi che venissero lette. Il vero problema fu far conoscere Kafka, perché come in ogni epoca si guardava con sospetto a chi non avesse un nome celebre e fosse un semplice impiegato scribacchino. Fortuna che Brod pubblicò un libro (tremendo, potremmo dire) intitolato Il regno incantato dell’amore. Le copie vennero vendute in blocco e tutti furono ammaliati da una figura eccezionale che si librava, libera, sullo sfondo, un tale Garta che Brod giurava essere in tutto e per tutto uguale al suo caro amico Kafka. All’epoca, i lettori apprezzavano molto queste figure idealistiche, uomini probi, senza peccato, specie se innamorati segretamente di una leggiadra fanciulla cui non riuscivano a raccontare la verità. E quegli stessi lettori, complice Brod, iniziarono a sovrapporre questo personaggio romanzesco a Kafka.

Il guaio fu che il nostro Franz non era affatto un tipo retto e probo. Spesso si recava nei bordelli, tradiva le sue amanti, aveva dei momenti bui (che oggi chiameremmo depressivi), nonché una sequela di problemi in famiglia, specie con il padre, ed era perfino divertente, troppo. Tanto che, quando leggeva animatamente i suoi scritti davanti agli amici, scatenava risa incontenibili. Brod, allora, epurò intere pagine di diario e pubblicò le opere di Kafka con prefazioni fuorvianti. Questo, certo, garantì il suo successo, ma spesso ancora oggi molti studiosi cadono nelle mille trappole di Brod.

Effettivamente, il successo di Kafka fu dovuto al caso e a un’abile manovra editoriale, prova del fatto che Max avesse buon gusto e fosse ben consapevole di quello che l’epoca richiedesse. Ma chissà se avesse reale contezza di quello che il suo grande amico avrebbe fatto per il Novecento e, in ultimo, per noi, fortunati posteri. Basta leggere Robert Musil, Thomas Mann, Albert Camus o Italo Svevo, per nominare un nostro carissimo compaesano. La loro estrema sensibilità e lettura del presente deriva proprio da questo grande scrittore, il cui genio è stato interamente capito (o quasi) solo più tardi. «Mi comprenderete tra cent’anni», scriveva Friedrich Nietzsche, ma forse una tale sentenza si può adattare ancora di più a Kafka che all’oscuro filosofo tedesco.

Quindi, perché dovremmo leggere questo scrittore prussiano in un anno così imprevedibile? Per ricordare (talvolta lo scordiamo) di come ogni triste momento sia solo di passaggio e che, per quanto atroce possa essere, riserva un’ironia da cogliere necessariamente. Dovremmo fare, insomma, come i primi lettori di Kafka, i suoi cari amici, che ridevano a crepapelle mentre Franz leggeva il primo capitolo de Il Processo. E ricordare, rifacendoci alla sua storia, di come tutto – persino la fama di un uomo – possa semplicemente scaturire da un felice colpo di fortuna oppure, chissà, dal provvido gesto di slealtà di qualche amico intuitivo.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.