ArtePrimo PianoIl villaggio sommerso di Viverone

Alice Massarenti3 Giugno 2022
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Nel 1971, sui fondali della sponda occidentale del Lago di Viverone, un subacqueo appassionato di archeologia individuò i resti di strutture sommerse. Nei decenni seguenti furono localizzati circa 4200 pali su una superficie di oltre due ettari, che formavano un villaggio di pianta circolare di 70 metri di diametro, circondato da palizzate e attraversato da un sentiero su pali. L’importanza del sito palafitticolo Vi1-Emissario, rispetto agli altri contesti archeologici sommersi nel lago, risiede sia nella quantità di reperti ceramici e metallici ritrovati, sia nel periodo in cui si colloca, dal Bronzo medio al Bronzo finale.

La maggior parte dei reperti è stata recuperata da gruppi amatoriali e oggi è conservata presso il Museo di antichità di Torino e il Museo del territorio Biellese. Mentre le migliaia di reperti ceramici e metallici sono state riesaminate recentemente, i reperti lignei non sono giunti fino a noi.

La ceramica si colloca prevalentemente nella media Età del Bronzo ed è caratterizzata da impasti fini e semifini, con decorazioni a fasce di scanalature parallele o onde e coppelle. Queste caratteristiche rimandano alla “facies” di Viverone, diffusa in Italia nordoccidentale e in Provenza orientale. Rispetto alle produzioni tipiche delle palafitte di area padana, si notano forme diverse e non sono presenti le sopraelevazioni d’ansa a forma di corna.

Per quanto riguarda la metallurgia, tra gli attrezzi da lavoro spiccano quattro falcetti a lama arcuata e gli ami da pesca a un solo uncino, con il corpo arcuato a sezione circolare e di lunghezza variabile tra i 28 e i 53 millimetri. Solo i due più piccoli presentano la punta uncinata, mentre i due di maggiori dimensioni erano dotati di un occhiello ottenuto curvando il corpo.

Sono presenti undici lame di ascia a margini rialzati, le cui caratteristiche rimandano all’ambiente gallico o teutonico. Sono presenti, inoltre, quattro pezzi stretti e allungati che presentano un corpo con una leggera costrizione mediana, simili al tipo Nehren, dal carattere polivalente: l’appartenenza al corredo nelle sepolture di individui di rango le porrebbe al livello delle asce da battaglia proprie dell’ambiente nord Alpino. Anche il pugnale può essere citato sia tra gli arnesi da lavoro per l’intaglio del legno o per l’agricoltura, sia come arma: sono stati recuperati tredici lame, lunghe tra gli 8 e i 18 centimetri, con nervatura assiale e con manico in materiale deperibile che copriva una base semplice, ampiamente diffusi nei contesti de1 Bronzo medio in Germania, in Inghilterra, in Svizzera e in Francia. Tra le armi spiccano due lame a doppio taglio e con base piatta; sette cuspidi di lancia di lunghezza medio-piccola, idonea per un uso a mano, non decorate, e alcune punte di freccia con l’immanicatura a cannone.

Il ritrovamento di un morso a filetto con cannone di tipo rigido e montanti laterali appuntiti è prova della domesticazione del cavallo e rappresenta una singolarità nel contesto italiano dell’Età del Bronzo. Il morso compressore comparve per la prima volta in area danubiana solo verso il II-I secolo a.C., mentre i modelli a filetto precedenti – che agivano direttamente sulle barre – creavano difficoltà al cavaliere sia in caso di cattiva sistemazione, che in caso di resistenza del cavallo. Se alle estremità del morso venivano aggiunti due appendici arcuate a circondare il muso del cavallo, tirando le redini, la parte posteriore dei montanti si sarebbe ripiegata verso il mento, chiudendo la bocca e impedendo all’animale di contrastare la trazione. I più antichi esemplari di montanti laterali ricurvi, in corno di cervo, provengono dalle stazioni ucraine della Cultura di Srednij Stog, della metà del IV millennio a.C., che si diffusero in Europa a partire dall’età del Bronzo antico. A Viverone invece il filetto era dotato ai lati di dischi, croci o placche rettangolari irti di punte che andavano a stimolare le labbra del cavallo, simile a quello tipico dell’area carpatica, ucraina e rumena che a partire dal II millennio a.C. si diffuse nel vicino oriente e in Grecia. Non mancano poi pettini antropomorfi, rasoi, verghe ritorte, spilloni, pendagli a disco e anelli.

Pendagli a disco in bronzo

Le indagini archeologiche subacquee effettuate nel 2011 hanno verificato le condizioni del sito, ora sommerso da 3 metri d’acqua, indagando cosa fosse rimasto sul letto del lago dopo le raccolte del secolo precedente e migliorando in tal modo la conoscenza della planimetria dell’abitato; tali accertamenti hanno condotto al riconoscimento di diverse strutture o capanne, lunghe tra i 15 e i 20 metri, simili al modello diffuso in Germania. I pali sommersi erano in quercia e ontano, ricavati in gran parte da alberi ultracentenari utilizzati interi. Le datazioni dendrocronologiche, limitate ad alcune strutture del settore sud-occidentale del villaggio, confermano una quindicina di episodi di abbattimento, avvenuti tra il 1442 e il 1401 a.C., compatibili quindi con periodi avanzati del Bronzo medio 2 e con gli inizi del Bronzo medio 3, come si riscontra dalle tipologie ceramiche e dai bronzi.

Rimane ancora da stabilire se a quel tempo l’abitato fosse situato sulle acque del lago o sulla linea di costa, e per quale motivo si siano ritrovati così tanti manufatti metallici, come se il sito fosse stato abbandonato all’improvviso e non fosse stato più possibile recuperare gli oggetti.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.