LetteraturaPrimo PianoIl valore supremo della filosofia in Giordano Bruno

Monica Di Martino1 Febbraio 2022
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Chiunque si aggiri per Campo dei Fiori a Roma non potrà fare a meno di notare come, collocato al centro di essa, vi sia l’imponente monumento dedicato a colui che fu dichiarato un «eretico impenitente» dall’Inquisizione e, come tale, arso sul rogo su questa stessa piazza, il 17 febbraio 1600. I problemi di Giordano Bruno con l’Inquisizione sorsero ben presto, fin da quando – a undici anni – vestì l’abito domenicano e venne redarguito più volte, nonché processato, per aver nascosto e sostenuto quella che fu ritenuta un’eccessiva libertà di pensiero propria di autori come Ficino, Copernico, Erasmo.

Dopo un soggiorno francese, presso la corte di Enrico III, Bruno si trasferì a Londra e lì compose la maggior parte delle sue opere: anzitutto le due serie dei Dialoghi italiani, una di argomento cosmologico e metafisico, un’altra di argomento etico; poi la Cena delle ceneri, opera che determinò la fine del suo soggiorno inglese, nella quale è contenuta la rappresentazione – in chiave satirica – della società londinese. Tornato a Parigi, si pronuncerà in favore di Enrico III ma, ben presto, sarà costretto a fuggire prima in Germania – dove pubblicherà i tre grandi poemi latini – e successivamente presso il nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che tradirà l’ospite denunciandolo all’Inquisizione.

Fin dalla sua prima opera italiana, la commedia Il candelaio, Bruno delinea un’impietosa caricatura della cultura filosofica e letteraria del tempo. Lo stesso atteggiamento denigratorio si troverà in numerosi passi dei suoi dialoghi: il rifiuto delle regole, della letteratura pedantesca e dell’aristotelismo, la cui Poetica era imposta come rigido prontuario; sul piano cosmologico, quello del sistema tolemaico e geocentrico e l’adesione alle ipotesi di Copernico. Da questa prospettiva, Bruno sottolinea il valore supremo della filosofia, che viene presentata come ciò il cui fine sia la ricerca della verità. La sua brama di conoscenza lo spinse ad accostarsi alle varie forme del sapere del tempo, che permea di sé anche le opere più strettamente letterarie: così come la natura non può essere descritta e dettagliata in termini matematici, allo stesso modo non esiste un unico modello di letteratura.

Persino nei suoi interrogatori si può cogliere una forma che, sebbene non si possa reputare ancora letteratura, le si avvicina molto in quanto esempio di scrittura e rielaborazione di un testo: Bruno infatti rileggeva i verbali prima di firmarli e, con ciò, li approvava. Il motivo che maggiormente vi ricorre è la sottolineatura dell’autonomia del filosofo, il quale è tenuto a obbedire solo a se stesso e alla verità, senza essere costretto a riconoscere altre forme di autorità. Che sia stata questa la sua ferma convinzione è dimostrato – senza ombra di dubbio – allorché Bruno dichiara definitivamente, al termine del tempo utile per la ritrattazione, «di non volersi pentire e di non avere di che pentirsi».

Monica Di Martino

Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.