Uno dei momenti più interessanti all’interno della storia del teatro è quanto si verifica a cavallo tra Settecento e Ottocento. Non viene sempre visto come una svolta soltanto per il teatro. Anzi, spesso e volentieri, si preferisce sminuire piuttosto la sua importanza all’interno della storia teatrale. Eppure, lo è talmente tanto che da quel momento in poi la storia teatrale europea, fino a quel momento divisa in due grandi schieramenti, pare riunirsi sotto ad un unico grande nome, senza più divisioni e diversificazioni interne. E a vincere questa competizione interna all’Europa non sarà la tradizione più antica e longeva del teatro, che rappresentavano Francia e Italia, ma quella inglese, da sempre bistrattata, ritenuta di secondo livello rispetto a chi aveva il retaggio greco e latino sulle proprie spalle.
Tra Settecento e Ottocento, infatti, le due Europe dialogano tra di loro e si confrontano sulla letteratura. Avviene uno scontro dialettico tra antico e nuovo, proprio sulla letteratura perché si inizia a farsi una grande domanda: in che direzione andare? La società europea stava velocemente mutando. La società borghese stava progressivamente sostituendo la classe aristocratica al potere e, quindi, la letteratura del periodo non poteva più essere la stessa. Sia perché i borghesi desideravano una letteratura più borghese, che parlasse quindi di loro stessi, storie vere, realistiche, in uno stile assai più semplice, meno di nicchia. In una lingua che fosse loro immediatamente comprensibile. La letteratura, che prima era uno status symbol e portatrice delle idee delle classi più agiate, adesso diventa prima di tutto d’intrattenimento. E deve farsi portavoce di una realtà mutata.
Gli scrittori, allora, erano portati a fare una scelta, specie in Italia. Privilegiare una letteratura poco accessibile, che era quella neoclassica, destinata ai filologi e agli addetti ai lavori, oppure una letteratura che venisse letta, appunto, dalla moltitudine? Su questo gli scrittori si scontrano: chiudersi nel passato o aprirsi al nuovo? E in questo bellissimo momento storico, in cui gli intellettuali di tutta Europa si arrovellano e firmano articoli, libri e opuscoli, ognuno implicato ed impegnato nello sforzo di difendere le proprie idee, anche il teatro è tenuto a cambiare e a farsi più funzionale. Il teatro antico lascia così spazio al nuovo, che aveva quale assoluto rappresentante proprio il teatro di quel geniale William Shakespeare. Alessandro Manzoni e la sua Milano sono al centro di queste delicate questioni. E non stupisce che il teatro manzoniano sia sensibile ai cambiamenti in atto sulla scena teatrale europea. Infatti, le regole antichissime che il teatro italiano e francese si portava dietro e continuava ad osservare da secoli andavano finalmente smantellate.
In primis, c’erano le cosiddette unità aristoteliche. Nel teatro greco, da quanto ci ha trasmesso Aristotele nella Poetica e come si può evincere dai testi giunti sino a noi, l’azione scenica doveva risolversi entro le ventiquattrore (da qui l’unità di tempo) e sempre nello stesso luogo (l’unità di luogo). Perciò era impensabile quello che faceva Shakespeare, che ambientava le storie in luoghi sempre diversi dalla prima all’ultima scena, tra interni, esterni e città, e che addirittura lasciava che l’azione drammatica prendesse anche anni. Queste regole fisse avevano caratterizzato il teatro italiano e francese per secoli (ma anche quello spagnolo), facendo venir meno anche la possibilità di spaziare da un luogo all’altro, rendendo più dinamica la vicenda, ma anche più realistica. Il teatro inglese era, da questo punto di vista, molto più avanti e, quindi, doveva per forza di cose dettare legge in questa fase e ispirare questa svolta rispetto al passato.
Alessandro Manzoni, dunque, tradisce Aristotele e la lunga tradizione tenuta viva da questa parte di Europa, e privilegia il realismo, rende più dinamica la trama, assai complesso il passaggio da un’ambientazione all’altra. Il teatro manzoniano, inoltre, pone la storia al centro. Non la storia intesa come trama, ma come vicende storiche, quella storia con S maiuscola. Una storia che non è mai la contemporanea, ma che pone un’ombra sul presente di allora. Mettere la storia vera in scena era un’altra delle cose scarsamente consigliate nell’antichità, perché poteva provocare il dispiacere del pubblico, facendo rivivere eventi dolorosissimi. Oppure – come poteva facilmente capitare in un momento storico così intenso come quello che si ritrovava a vivere Manzoni – era pericoloso portare esempi storici perché avrebbero potuto ispirare sentimenti di ribellione nella folla. Quindi, lo scrittore porta sì la storia ma ambientata nel passato, facendo una riflessione sul senso della stessa come farà anche nei Promessi Sposi.
I personaggi, in quanto eroi tragici, si ritrovano a fronteggiare il pericolo e a sacrificarsi per il bene della patria. Sono come dei Cristi, figure senza peccato e tradite che, pur sapendo quanto crudele sia la macchinazione ai loro danni, accettano loro malgrado quanto debba accadere. Abbracciano il destino di morte e sacrificio, incapaci di respingerlo e consapevoli dell’inutilità della loro ribellione. Personaggi romantici, che tanto bene si sposano con il periodo in cui Manzoni vive. Primo tra tutti Adelchi, che incarna un giovane senza macchia e promotore di un messaggio di pace, costretto alle direttive di un padre tiranno, di cui non condivide le idee di conquista. E così Ermengarda, sua sorella, è un’altra vittima della storia, e con lei le tante masse e moltitudini innocenti, che assumono una grande importanza in una storia in cui i grandi nomi sono destinati ad essere sempre meno importanti. E il teatro, anche il teatro, si appresta ad ospitare ben presto, anche nella tragedia, le storie comuni. O, meglio, le tragedie comuni di chi vive normalmente nel mondo. Tragedie come ce ne sono tante, eppure universali come quelle di un Edipo o di un’Antigone.

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.