Durante i lavori di costruzione di un impianto di produzione di energia a biogas a Concordia Sagittaria (in provincia di Venezia) sono emerse tracce estensive di una frequentazione di età preistorica collocabile nel tardo Neolitico. A sud della città, il fiume Lemene forma due grandi anse nel suo percorso verso il mare e l’abitato si collocava all’interno della prima ansa. Dal VI-IV millennio a.C. è attestata la presenza nell’area di acque salmastre, che penetravano fino a Portogruaro mediante lo sfruttamento delle incisioni del paleo-Tagliamento, oggi percorse dai fiumi Lemene e Reghena. L’avanzata dell’acqua salata si alternava a periodi di regressione in cui i fiumi ripercorrevano i canali di marea, creando condizioni più favorevoli alla frequentazione umana.
La fase tardo-neolitica, inquadrabile nella metà del IV millennio a.C., è stata riconosciuta grazie ai manufatti ritrovati all’interno delle strutture a pozzetto. In quell’epoca nell’Italia nord-orientale erano già sviluppati gli ultimi aspetti della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata con lo stile a incisioni e impressioni, mentre nell’area dell’Italia nord-occidentale era attestata la facies Chassey-Lagozza. In questo quadro storico, interessato da vari cambiamenti sociali, economici e culturali, i materiali ceramici ritrovati hanno elementi in comune con le aree friulana e carsicoistriana e con l’area di Lubiana, anche se non mancano rari frammenti ceramici inquadrabili nella facies Lagozza. La cultura materiale sembra quindi essere orientata verso le aree orientali del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia, rendendo Concordia Sagittaria il sito italiano più occidentale con elementi ceramici di matrice orientale.

Le 32 strutture individuate sono state interpretate come strutture a pozzetto, al cui interno si potevano osservare simili sequenze processuali: le fosse rimanevano aperte a lungo, con il risultato di favorire il degrado progressivo delle pareti, con accumuli sia delle sabbie basali, sia del paleosuolo medio pleistocenico; a volte i riempimenti sono arricchiti da residui di marcescenza e decomposizione di elementi organici scaricati, tra cui resti di faune. Poche strutture a pozzetto presentano all’interno elementi che ne attestano la funzione primaria, mentre per altre la funzione è stata supposta per il rinvenimento di lembi delle strutturazioni o dei piani di lavoro dismessi e incorporati nei rifiuti domestici successivi. Le fosse sono colmate da terriccio derivante da dilavamento del suolo, degrado e smottamento delle pareti; anche se la funzione non è sempre determinabile, rimane viva la testimonianza delle attività produttive, domestiche e di gestione ambientale. Alcune fosse sono state riconosciute come abbeveratoi per gli animali, mentre tre strutture canalari di piccole dimensioni – in base alla pendenza e alla morfologia – sembrano canali di raccolta e deflusso delle acque.

Quattro strutture a pozzetto, con pareti rivestite da sabbia indurita da una fonte di calore, sono state interpretate come silos: il processo di trattamento delle superfici aveva lo scopo di conferire loro maggiore impermeabilità e isolamento, per una migliore conservazione e protezione delle derrate. Non mancano le fosse funzionali all’estrazione, all’impasto e allo stoccaggio di sedimenti a tessitura medio-fine, per la costruzione di edifici. L’assenza quasi totale di manufatti litici, la povertà di componenti organiche riscontrata nei riempimenti secondari e la carenza di materiali di scarto e resti di pasto sono dovute forse a un ruolo marginale dell’insediamento nella rete degli abitati dell’epoca oppure a un’occupazione stagionale del sito.
In una particolare struttura sono stati rinvenuti due crani animali, associati a una ciotola in impasto fine rotta volontariamente. Oltre al cranio di un cinghiale e a quello di un lupo, sono emerse una scapola di bovino domestico di piccola statura, due frammenti di ossa animali non identificati e diversi frustoli vegetali carbonizzati.

Anche se le condizioni di conservazione hanno seriamente danneggiato i reperti ossei, non sembrava essere presente uno schema di deposizione. Il cranio di cinghiale adulto presenta lo sfondamento della volta cranica, dovuto a uno o più colpi inferti all’animale prima della deposizione, ed era stato privato della maggior parte dei denti. Anche il cranio del lupo ha la volta cranica sfondata, avendo subito un forte trauma che ha provocato la frattura del mascellare sinistro, e presenta soltanto due denti. Si trattava di un esemplare adulto di grandi dimensioni.
Il fatto che fossero presenti pochi resti animali, ma rappresentanti tre diverse specie, la scelta di deporre soltanto alcuni elementi anatomici e il danneggiamento dei crani da parte dell’uomo, come si deduce dallo sfondamento ben delineato e dalla privazione dei denti, rende chiaro che la funzione di questa fossa non fosse semplicemente di raccolta degli scarti domestici; un’ipotesi accreditata la indica come luogo di un rituale religioso. Nei siti neolitici italiani è difficile ritrovare resti di lupo; un paragone, però, si può proporre con i resti osteologici emersi nella Grotta Bella (in provincia di Terni) dove le varie specie, tra cui il lupo, presentavano tracce di macellazione e sono generalmente interpretate come residui di riti.

Alice Massarenti
Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.