Sui giri di valzer cui da sempre siamo chiamati ad assistere, immancabilmente amplificati dai mezzi di informazione, è difficile talvolta mantenere o trovare una certa stabilità o una ferma posizione. Nella confusione generale, tuttavia, abbiamo un’ottima alternativa, un’arma che risulta essere sempre vincente per meglio affrontare e sciogliere le tensioni: la satira, la sana e vecchia satira che – fin dall’antichità – si avvale dell’ironia, del sarcasmo, dell’umorismo e del comico per descrivere la realtà che ci circonda e canzonarla. Questo genere, tipico della letteratura latina, che non trova corrispondenze in quella greca, pone in evidenza fin dall’etimologia le sue caratteristiche: complessità di temi e spirito mordace. Da Ennio a Lucilio, da Orazio a Persio fino a Giovenale, la satira ha sempre attirato un forte interesse ed è stata utilizzata secondo modalità disparate: per attacchi personali, per mettere gli avversari in ridicolo, per ragioni morali, per porre l’accento sulla corruzione del presente; elevando via via il tono e lo stile rispetto a quello medio, più dimesso.
Per molti versi affine alla satira, la produzione epigrammatica di Marziale è caratterizzata da una grande consapevolezza critica. Spagnolo di nascita, si trasferisce a Roma per esercitare la sua attività come “cliente”, alla ricerca della protezione di qualche mecenate. Non per niente, la sua produzione è volta spesso a fare elogi ai vari imperatori del momento, da Tito a Domiziano. Egli si distingue principalmente per l’identificazione della realtà con i comportamenti umani, trattando con arguzia i costumi dei suoi contemporanei, e – al contrario di ciò che avevano fatto i predecessori – per non proporsi alcun intento pedagogico, evitando accuratamente di correggere e suggerire soluzioni alternative alla corruzione dell’umanità. Non vi è, dunque, alcun intento moralistico nella sua produzione ma unicamente la volontà di intrattenere piacevolmente il lettore sfociando anche nel volgare e dichiaratamente osceno, con inevitabili ripercussioni sul linguaggio attraverso l’adozione di termini grossolani. Tutto ciò delinea una direzione specifica verso l’adesione al reale, al quotidiano, sebbene egli stesso specifichi una netta separazione tra vita e poesia, così come un fermo rifiuto per l’attacco personale, concentrandosi sulla colpa e non sul colpevole.
Fin dalle prime raccolte – è il caso del Liber de spectaculis – Marziale coglie un aspetto importante della quotidianità di Roma: il divertimento e il gioco. Ma la sua opera più matura è rappresentata dai 12 libri che compongono gli Epigrammi, nei quali ricorda l’aggressività di Catullo, così come dal passato riprende la tecnica di concentrare il comico nella parte finale (che a volte riassume il senso dell’intero componimento) e l’uso delle enumerazioni, tese a esasperare certe caratteristiche dei personaggi. Qui il reale viene reinterpretato da Marziale facendone scaturire gli aspetti comici, con uno sguardo particolare alle tematiche più semplici, insistendo soprattutto sugli aspetti brutti e miseri; in chiusura c’è sempre spazio per una conclusione ironica. Il suo tono beffardo prende di mira intere categorie di lavoratori e abitudini tipicamente romane. La sua abilità sta proprio nella capacità di cogliere, con raffinata sagacia, il ridicolo dell’esistenza umana.

Monica Di Martino
Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.