Primo PianoTeatro e DanzaIl respiro dei burattini di Bernd Ogrodnik

Giada Oliva10 Giugno 2019
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Il 7 giugno al Teatro Tor Bella Monaca di Roma è andato in scena Metamorphosis – Poetry in Motion di Bernd Ogrodnik, all’interno del primo Festival Internazionale del Teatro di Figura della capitale. Dal 6 al 9 giugno, in diversi teatri del territorio, artisti provenienti da più Paesi hanno donato piccole perle della loro arte al pubblico romano che in cambio di tale generosità ha risposto con ben poca gratitudine vista la scarsa affluenza in sala.

Il teatro di Figura in Italia sconta alcuni pregiudizi dovuti a una conoscenza limitata dell’argomento. In prima istanza si crede che sia un teatro minore per la mancanza di attori in carne e ossa, e che abbia come pubblico esclusivo quello dei bambini – a tal proposito è significativa la scelta degli organizzatori del Festival di promuoverlo inserendo la frase «Adatto a tutte le età» – e in seconda battuta non si conoscono nello specifico tutte le tecniche e gli stili di questo teatro, per cui nell’immaginario comune esiste solo la marionetta mossa da mani umane che si muove in un finto teatrino e fa e dice cose molto semplici per far divertire i bambini.

Bernd Ogrodnik, artista che proviene dall’Islanda, ci ha mostrato un teatro di Figura di altissimo livello e composto da un cast di burattini eclettico perché realizzato con diverse tecniche: nessuna marionetta ma burattini intagliati nel legno mossi dai fili, mani che prendono vita e diventano un ragno, una farfalla, una signora anziana, due innamorati e un saltatore di ostacoli – il tutto grazie a qualche minuscolo oggetto – e ancora burattini che muovono solo alcune parti del corpo tramite uno stecco rigido e in ultimo stracci e sciarpe di seta che prendono le forme più varie.

Ogrodnik è un maestro di chiara fama nella sua arte: è interprete, designer, costruttore, insegnante, regista nonché musicista e illustratore. Il suo Metamorphosis è uno show di 60 minuti in cui racconta tante piccole storie slegate tra loro da un punto di vista narrativo ma accomunate dalla poesia che sprigionano e dalla grazia con cui questo maestro islandese maneggia le sue creature: «Cibo per l’anima e non gomma da masticare per gli occhi», è cosi che Ogrodnik le definisce. Di nutrimento per l’anima c’è bisogno a tutte le età e si è sorpresi di come ci si ritrovi in platea a osservare in un silenzio pieno di concentrazione i mondi che si materializzano davanti agli occhi. Ci si scopre bisognosi di essere nutriti dalle evocazioni di Ogrodnik e dei suoi burattini e totalmente rapiti da una scena in cui le parole sono assenti e a prevalere sono gli elementi visivi conditi da suoni, versi e musiche.

Non è affatto semplice riportare quanto è accaduto sul palco del Teatro Tor Bella Monaca, perché qualsiasi descrizione risulta inefficace a restituire le atmosfere magiche, evanescenti ma al contempo concrete che Ogrodnik è stato in grado di realizzare. Ovviamente non è importante ciò che accade sul palco – la trama delle scenette – ma il modo con il quale la messa in scena è realizzata. Ogrodnik ha l’abilità di far vivere le sue creature trasmettendo loro un soffio vitale: è lui stesso a parlare della necessità di «farle respirare». Muove i burattini con una fluidità tale da comunicare l’idea che sia la cosa più semplice del mondo da praticare. L’artista islandese scalzo e vestito di nero è ben visibile sul palco, la finzione e il meccanismo scenico sono rivelati: apre il baule e tira fuori oggetti, manovra i burattini, addobba le sue mani come pupazzi ma ha una tale maestria nel farlo che la sua presenza non ci impedisce di credere che quel burattino da lui manovrato abbia una sua vita indipendente. Come quando il protagonista è un bambino che non ne vuole sapere di andare a dormire perché vuole continuare a giocare con il suo cavallo a dondolo e Ogrodnik interagisce con lui, gli legge una fiaba, lo ammonisce benevolmente con lo sguardo e lo accarezza quando finalmente si addormenta. Noi crediamo completamente in quella interazione perché è reale e concreta davanti ai nostri occhi.

A tal proposito l’artista islandese fa un parallelismo con alcuni film che sono rappresentativi del livello avanzato a cui la tecnica di animazione è arrivata: nella pellicola Il Signore degli Anelli, per esempio, è presente un Gollum altamente realistico e perfetto perché realizzato al computer, ma in quanto virtuale non esiste nella realtà. I burattini di Ogrodnik invece sono concreti, si possono toccare e fanno rumore se cadono a terra e dal momento che non fanno segreto della loro finzione sono in grado di attivare l’immaginazione dello spettatore.

«L’arte è più potente quando è incompleta»: con questa frase il nostro burattinaio intende dirci che è necessario che le opere artistiche siano lacunose, allusive ed evocative e che lascino allo spettatore la possibilità di completare il puzzle senza l’esigenza di dover spiegare tutto. Le creature di Ogrodnik hanno fattezze non dettagliate proprio perché devono suggerire mondi, colori, emozioni e non chiarire: sarà lo spettatore col suo mondo interiore a trovare significati nelle scene a cui assiste. Metamorphosis ci lascia lo spazio e il tempo per respirare e giunti alla fine non si vede l’ora di ricominciare.

Giada Oliva

Romana, classe '85, laureata al Dams in Storia del teatro italiano. Ha studiato per diversi anni teatro e danza contemporanea. Particolarmente curiosa, ama essere una cacciatrice di esperienze e di nuovi punti di vista.