Diversamente da quanto accadeva nel Medioevo in cui il potere di una corte si valutava esclusivamente in base ai possedimenti e ai successi militari, dal 1400 il fiorire dei commerci e il nuovo interesse per la cultura, nato grazie all’Umanesimo, fecero si che per la classe dominante divenne importante esibire il proprio prestigio tramite le arti e in primis attraverso il teatro. Le feste di corte diventarono sempre più sfarzose e fantasiose, includendo spesso anche rappresentazioni danzate nelle quali però i danzatori non erano professionisti ma nobili di corte che danzavano per piacere e dovere sociale. In questi anni, durante i quali ci fu una massiccia codificazione di tutte le arti, nelle corti italiane fece la sua comparsa il maestro e teorico di danza, una nuova figura indispensabile.
È in questo clima culturale che il 15 ottobre del 1581 ebbe luogo alla corte di Francia Le Ballet Comique de la Royne, un balletto di ben cinque ore che si svolse dalle 22 alle 3.30 di notte nella grande sala del Louvre e per il quale si spesero ingenti fortune e si prestò una cura certosina nella preparazione di ogni dettaglio. Tanto zelo è giustificato dal fatto che il balletto, per volere di Caterina de’ Medici, doveva celebrare le nozze della cognata del Re di Francia Enrico III e al contempo mostrare al mondo, sperando che credesse alla pantomima, la solidità della monarchia francese. All’epoca la Francia era infatti lacerata da feroci dissidi religiosi tra cattolici e protestanti ed Enrico doveva apparire come l’uomo in grado di gestire tutto questo e donare pace e benessere al Paese.
Balthazar de Beaujoyeux fu incaricato di curare l’allestimento e le coreografie mentre le scene e i costumi furono disegnati da Jacques Patin, pittore del Re. Il balletto, secondo l’usanza del tempo, fu rappresentato esclusivamente da nobili, a eccezione dei musicisti che erano tutti professionisti. E poiché la tecnica di danza era estremamente limitata, Balthazar fece largo uso di costumi spettacolari e grandi scenografie per destare la meraviglia del pubblico. Per essere inoltre sicuro che la gente capisse la storia, fece distribuire copie dei versi usati nel balletto. L’intero spettacolo prese ispirazione dall’Odissea di Omero, e nello specifico dall’episodio della Maga Circe che trasforma gli uomini in animali. Le vicende della Maga furono considerate come espressione della malvagità e dell’aspetto ferino dell’essere umano. Tutto il balletto è quindi una grande allegoria in cui le passioni umane devono essere domate dalla razionalità e dalla virtù di uomini illuminati come il Re di Francia.
La struttura del balletto costituì un modello per i successivi spettacoli di corte e prevedeva un prologo (in cui veniva presentata la trama, con una parte recitata), la trama stessa (in due parti, costituite da entrate a carattere musicale e coreutico) e un gran balletto finale (nel quale si risolveva la vicenda). Affinché fosse ben esplicito il concetto del Re di Francia come garante della pace, durante il prologo il Re era chiamato direttamente in causa: un uomo in fuga dal Palazzo della Maga Circe chiedeva aiuto a Enrico III, presente in sala, investendolo così del ruolo di salvatore della patria. Dopo il prologo, aveva luogo un primo intermedio danzato e cantato a quattro voci (da tre sirene e un tritone), ai quali faceva da contrappunto il coro che insieme ai musicisti era in una posizione nascosta.
La spettacolarità di questo balletto è ben espressa dall’entrata in scena, durante la prima parte, di dodici naiadi – la regina e undici dame – su una fontana a tre piani, carica di musicisti, sirene, tritoni e guidata da cavalli marini. Le naiadi, raggiunte da altrettanti paggi, iniziavano una danza interrotta solo dall’ingresso della Maga Circe che, dopo aver pietrificato le coppie, le conduceva al suo castello. Il balletto procedeva tra trovate spettacolari e continui encomi rivolti al Re, non ultimo quello di Giove, il cui intervento era stato richiesto da Minerva e che – discendendo dal cielo su un’aquila tra tuoni e fulmini – si rivolgeva a Enrico III chiamandolo «figlio suo»: il massimo della celebrazione per un regnante. Circe, sconfitta da Giove, viene poi consegnata in catene al Re.
C’era a questo punto un ultimo balletto finale, allegorico, per intrattenere il pubblico mentre Enrico III riceveva gli omaggi (non erano mai abbastanza) degli dei, dei satiri e delle ninfe. Il balletto fu un successo enorme nonché molto imitato nelle altre corti d’Europa. Sebbene ci furono in un vicino passato balletti simili, nessuno di essi si avvicinò alla compiutezza di questo in cui le varie discipline artistiche – danza, musica, poesia, pittura – collaborano in modo armonico allo svolgersi della vicenda. La coreutica subisce un cambiamento significativo in quanto non ha più una funzione semplicemente decorativa ma è usata per far evolvere il racconto al pari delle altre arti.

Giada Oliva
Romana, classe '85, laureata al Dams in Storia del teatro italiano. Ha studiato per diversi anni teatro e danza contemporanea. Particolarmente curiosa, ama essere una cacciatrice di esperienze e di nuovi punti di vista.