Il mito greco è pieno di donne terribili. Di donne che ingannano, uccidono i figli, assassinano il marito di ritorno dalla guerra, ma anche di tante donne bonarie, che attendono il ritorno dello sposo per oltre vent’anni, senza il minimo tradimento. Tutte queste figure femminili, spaventose quanto affascinanti, hanno invaso la letteratura di ogni secolo, incuriosendo da sempre gli studiosi, impegnati a risalire all’origine delle loro storie e pronti a indagarne il mistero.
Consideriamo il mito come un insieme di insegnamenti, una serie di caratteri e paradigmi da consegnare alle generazioni future, affinché rincorrano un esempio anziché un altro. Alle donne si offrivano chiari modelli da seguire: venivano invogliate a emulare Penelope, piuttosto che l’infanticida Medea o Clitennestra, assassina di suo marito Agamennone. E, così facendo, le donne greche cercavano di rifarsi il più possibile agli esempi indicati, sentiti ripetere per tutta la vita, a partire dall’infanzia. Sono storie che circolano e vengono costantemente riproposte, ognuna con le sue varianti, in versi, canzoni, spettacoli teatrali (anch’essi in versi e musica).
Analizzando con un occhio moderno queste tante storie, questi infiniti miti, è impossibile non notare la presenza della donna mostro, di questa terribile creatura che inganna e circuisce l’uomo. Creatura spietata, nei cui confronti, però, è impossibile non provare un po’ di compassione. Pensare a Medea, una barbara in terra straniera, abbandonata dal marito Giasone – per il quale ha compiuto efferati omicidi ai danni della sua famiglia, aiutandolo a rubare perfino il vello d’oro, per la sua missione di argonauta – che al limite del dolore, con una rabbia e una violenza inaudite, ammazza la futura sposa del marito, il padre della sposa, e – seppur soffrendo (com’è evidente da quella straordinaria tragedia che è la Medea di Euripide) – uccide i suoi figli, fuggendo sul carro del sole con i loro cadaveri, perché il marito fedifrago non potesse neppure seppellirli.
Prove di una crudeltà sbalorditiva, ma anche di un grande dolore. Una donna da evitare, una madre assassina, un esempio di vendetta al femminile. La mostruosità di Medea è ancor più evidente se la si considera quale simbolo di una ribellione al sistema patriarcale greco; viste in quest’ottica, le sue azioni si fanno ancora più terribili, perché minano un mondo retto dagli eroi e ordinato secondo la loro volontà. L’esempio perfetto di donna nell’immaginario greco era, invece, Penelope, la moglie di Odisseo. Quest’ultima, nonostante i vent’anni di attesa e i proci che premevano per sposarla, non ha mai cessato di aspettare il marito e gli è stata fedele per tutto il tempo.
Eppure, non è solamente questione di modelli da adottare per essere brave madri, mogli o donne “tout court”. La faccenda si fa di certo più interessante quando si cerca di dare una spiegazione a questi racconti mitici, nel tentativo di cogliere i sentimenti di un uditorio perlopiù maschile. Non stupisce, quindi, notare come la mitologia classica sia popolata da mostri spaventosi, a riprodurre i mille pericoli rappresentati dalle donne. Un valido esempio è quello fornito dalle Sirene: terribili creature descritte come uccelli enormi con un volto femminile, che attiravano a sé i marinai, per poi cibarsene, una volta sbudellati. Medusa era una delle tre Gorgoni, sorelle mostruose, note nel mito per la loro forza e grandezza, nonché crudeltà. Medusa era in grado di trasformare chiunque in pietra, grazie ai suoi capelli di serpente. Quando Clitennestra accolse suo marito Agamennone presso la reggia, stese un drappo rosso, per evitare che i suoi piedi toccassero la nuda terra. Un omaggio degno di un dio, un inganno ben architettato che mirava alla vanità del re. Poi da lì, l’atroce delitto ai suoi danni, perpetrato crudelmente a colpi d’ascia. Complice in questo piano era Egisto, cugino di Agamennone; tuttavia non è davvero lui il responsabile di quanto avvenga, ma questa donna terribile, fuori controllo, che tramava vendetta nei confronti del marito, colpevole di aver sacrificato la figlia Ifigenia per consentire il passaggio della nave achea presso l’Aulide. È stata una moglie, quindi, una terribile moglie, per una furiosissima vendetta, ad aver ammazzato suo marito; una donna che non è sotto il controllo di Agamennone, ma ha acquisito una spaventosa dimensione, comandando perfino il suo amante.
Chi ascolta non può che temere questa donna, simbolo di una realtà in cui a dominare era la Grande Madre, divinità rappresentante la natura, cui tutti erano tenuti a obbedire. Detentrice di mezzi tanto vitali quanto temibili, da una parte è percepita come l’essere che dà la vita, che dà origine, dall’altra è portatrice di morte e distruzione, perché il suo è un potere illimitato e non dettato dalla logica. La mostruosità della sua natura va osteggiata e svuotata del suo distruttivo potere, altrimenti del tutto incontrollabile.

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.