Il mito delle Danaidi riguarda le cinquanta figlie di Danao, da cui sarebbe disceso il popolo dei Danai. Per sfuggire a un’unione endogamica con i figli di Egitto, loro cugini, le fanciulle seguirono il padre ad Argo, città a cui Danao era legato, discendendo egli da Zeus e da Io, figlia del dio fluviale Inaco e, al contempo, re della città. Costrette alle nozze, durante la prima notte, tutte uccisero i loro rispettivi mariti. Soltanto Ipermestra risparmiò il suo sposo Linceo, disobbedendo agli ordini del padre.
Il mito delle Danaidi è ben attestato in varie fonti. Per iniziare, occorre dire che esso – almeno dal tardo arcaismo alla prima metà del V sec. a.C. – rappresentò una storia locale, asservita alle esigenze della città di Argo per la costruzione di un’identità culturale e politica. Questo dato è esemplificativo dell’importanza di Argo tra l’VIII e il VI secolo a.C., che fu un centro politico e culturale tra i più attivi del Peloponneso, ricco di tradizioni mitiche, genealogiche, etnografiche, oltreché fonte inesauribile di miti, dal miceneo al tardo-arcaico.
Nel VI secolo a.C. fu probabilmente un “epos” locale (Danaïs o Danaïdes) a sistemare la vicenda mitica, unificando la storia delle donne con la figura di Io, uno dei personaggi più importanti della mitologia tirinzio-argiva. Bisogna notare che, a partire dal Catalogo esiodeo, la discendenza delle Danaidi da Io sia considerata un tratto stabile della saga mitica, ripreso poi anche da Eschilo nelle Supplici.
Come attesta il Catalogo esiodeo, le Danaidi sono, da una parte, eroine civilizzatrici, poiché portano l’acqua in una regione prima arida e secca; dall’altra, sono le assassine dei loro sposi nella prima notte di nozze, anche se in questa fase antica del mito l’uccisione degli sposi fu la conseguenza di una contesa dinastica. Le sorprendenti analogie di questa vicenda con un mito ittita relativo alla fondazione della regalità porterebbero a inquadrarne l’origine in un panorama di comune sostrato indoeuropeo. Si tratta, nella fattispecie, del Racconto delle due città: trenta fratelli, abbandonati fin dalla nascita dalla loro madre, una volta cresciuti tornano alla loro patria dove sposano trenta fanciulle. Queste ultime sono le loro sorellastre, figlie della stessa madre. Tutti i fratelli vengono uccisi nella prima notte di nozze, eccetto il più giovane, astenutosi da un matrimonio considerato empio. Tuttavia, costui, unitosi in seguito alla sorellastra, dà origine alla regalità della città ittita di Zalpa.
Fu il genere tragico a rendere il mito delle Danaidi storia panellenica. In tal senso, un contributo importante, se non fondamentale, va ascritto alla trilogia delle Danaidi di Eschilo e, più in generale, alle modalità con cui Atene si impossessò di tradizioni mitiche per riscriverle e interpretarle. La scelta eschilea di rappresentare la trilogia nel contesto storico dell’avvicinamento politico ad Argo e la volontà di proporre al pubblico riflessioni sull’istituzione del matrimonio portarono a selezionare la parte della vicenda mitica più idonea allo scopo, sancendo il successo di quest’ultima rispetto agli altri filoni connessi alle eroine argive.
Le Supplici di Eschilo sono l’unico dramma conservato della trilogia delle Danaidi. La tragedia racconta dell’arrivo ad Argo delle cinquanta Danaidi, guidate dal padre per fuggire il matrimonio coi cugini, figli di Egitto. Sedute sugli altari, alla periferia della città, tenendo in mano i rami dei supplici, le fanciulle sono raggiunte dal re Pelasgo, al quale chiedono di essere accolte in virtù dell’antica parentela con la città di Argo, minacciando di togliersi la vita sugli altari nel caso venissero respinte. Il sovrano, consapevole o del rischio di guerra contro gli Egiziadi nel caso le accolga o della contaminazione che colpirebbe la città, preferisce riunire il popolo in assemblea e condividere con lui la decisione da prendere. Su indicazione del sovrano, il popolo vota per alzata di mano di ottemperare ai sacri doveri dell’ospitalità, accogliendo le giovani esuli e salvandole dalla minaccia degli Egiziadi. Costoro nel frattempo le hanno raggiunte e tramite un araldo rivendicano prepotentemente le cugine: solo l’intervento di Pelasgo allontana il messaggero e fa trasferire le fanciulle in città, pur consapevole della guerra che sta per abbattersi su di essa. Il prosieguo della vicenda narrata dal tragediografo è ricavabile dalla Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro: «I figli di Egitto vennero ad Argo ed esortarono Danao a mettere da parte l’ostilità e chiesero la mano delle sue figlie. Danao diffidava delle loro proposte e serbava ancora rancore per via dell’esilio: ciononostante, egli acconsentì al matrimonio e destinò per sorteggio le fanciulle ai rispettivi mariti».
Dopo questa sezione, Apollodoro elenca tutte le coppie che vengono ad essere stabilite. Viene fatto riferimento al banchetto nuziale e alla macabra richiesta di Danao alle novelle spose, accompagnata dal successivo racconto dell’assassinio e della scelta di Ipermestra, che risparmia il marito. Secondo l’autore pocanzi citato, la fanciulla avrebbe graziato Linceo perché costui aveva risparmiato la sua verginità. Ipermestra, trascinata a giudizio dal padre in quanto disobbediente, è assolta grazie all’arringa pronunciata da Afrodite in suo favore. Parte delle parole della dea, tratte dalla tragedia conclusiva, sono conservate (fr. 44 Radt): esse inneggiano alla naturalità del matrimonio, inseribile nell’ordine cosmico.
Accenni al mito delle Danaidi ricorrono in Euripide in Ecuba, Oreste ed Eracle, senza tralasciare, ovviamente, fr. 228 Kn. e fr. 228 Kn. dell’Archelao. Fin dal VI secolo a.C., le Danaidi furono dunque protagoniste di racconti destinati a un’ampia circolazione (dal Catalogo esiodeo alle tragedie di Euripide), ma divennero marginali nella seconda metà del V secolo a.C. Infatti, a eccezione dell’opera Le Danaidi di Melanippide, che intitolò a loro un suo ditirambo, fu solo Aristofane a dedicare integralmente alle eroine una commedia, in cui non sembrano ravvisabili contributi innovativi nella trattazione del mito.
Nel IV secolo a.C., il mito delle Danaidi conobbe un vasto successo e fu portato ripetutamente sulla scena da tragediografi e commediografi. Le opere di Cheremone, Nicomaco, Teodette, Difilo, Antifane e Timocle testimoniano interesse per la saga, anche se di tutta questa produzione rimangono per lo più dei titoli, qualche verso e, nel caso più fortunato (quello di Teodette), un estratto della trama trasmesso da Aristotele.
A partire dall’età ellenistica, l’interesse per la storia delle Danaidi sembra scomparire dalla produzione letteraria greca. Nel III secolo a.C., Callimaco dedicò alle Danaidi una sezione del terzo libro degli Aitia, ma da quel momento la vicenda delle eroine diventò per lo più oggetto di interesse erudito-mitografico, la cui fase conclusiva e compiuta è data dalla Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, che presenta un racconto ordinato, coerente ed esaustivo di questa come pure delle altre saghe mitiche greche.
Tuttavia, nell’ambito della tradizione paremiografica che percorre la cultura e civiltà greche a partire formalmente dall’età ellenistica fino a quella bizantina, almeno quattro proverbi sono riconducibili alle Danaidi. Il dato non è insignificante. Le raccolte paremiografiche nacquero infatti con finalità dotte ed erudite e il materiale cui attinsero fu prevalentemente di origine classica. Trovare traccia delle eroine argive nelle esegesi e persino in alcune espressioni proverbiali dimostra fuor di dubbio il successo del loro mito, almeno fino al IV- III sec. a.C.

Anita Malagrinò Mustica
Nata a Venezia, ma costantemente in viaggio per passione e lavoro, studia Lettere Classiche a Bari. Sognando di poter dedicare la sua vita alla ricerca e all’insegnamento, ha collaborato e collabora con varie realtà editoriali, scrivendo per diverse riviste di divulgazione scientifica e culturale. Appassionata di teatro e di poesia, porta avanti numerosi progetti performativi che uniscono i due ambiti.