«Io voglio un cuore, perché il cervello non basta a farti felice, e la felicità è la cosa più bella che esista al mondo». Parole, queste, che aprono il sipario a uno dei film più celebri di tutti i tempi, Il mago di Oz (The Wizard of Oz). Un vero capolavoro di immagini e fantasia, ispirato al meno conosciuto romanzo del 1900 Il meraviglioso mago di Oz – il primo dei quattordici libri di Oz, opera dello scrittore statunitense Lyman Frank Baum – che sarà trasformato, nel 1939, in un sorprendente film musicale dalla geniale mente creativa di Victor Fleming, che nello stesso anno aveva diretto anche un altro capolavoro, Via col vento (Gone with the Wind).
Una storia incantata, magica e lineare al tempo stesso, che racconta le vicende della piccola Dorothy, una ragazzina di animo altruista che vive con gli zii in una fattoria del Kensas. La giovane possiede un cagnolino dispettoso, Totò, che avrebbe provocato diversi danni alla temutissima vicina di casa, la signora Almira Gulch. Quest’ultima, di animo perfido e vendicativo, avrebbe chiesto agli zii di Dorothy di abbattere il cagnolino. La giovane si dispera e cerca in ogni modo di salvare il suo adorato animale. Un giorno, durante una tempesta di vento, sviene nella sua stanza, colpita sulla testa da una persiana volante; una volta risvegliatasi, esce dalla sua abitazione e vede tutti gli oggetti della prateria prendere il volo, compresa la sua casa che si innalza verso il cielo e, schiantandosi precipitosamente a terra, sovverte come per magia l’ordine del mondo. È l’inizio del meraviglioso viaggio che porterà Dorothy lontano da casa sua, alla ricerca del mago di Oz, per poi fare ritorno. Nel suo percorso la giovane protagonista è guidata da Glinda, la strega buona del Nord, e ostacolata invece dalla megera Strega dell’Ovest, sorella della defunta e altrettanto perfida Strega dell’Est, uccisa involontariamente dal tonfo della casa della piccola Dorothy. Quest’ultima è aiutata nelle sue imprese da un graziosissimo oggetto magico: delle luccicanti scarpette rosse.
Il viaggio procede all’insegna dell’armonia e dell’incanto, al cospetto di svariati personaggi in cerca di fortuna. Primo fra tutti, lo spaventapasseri parlante, che, vaneggiando appeso a un palo, sogna di possedere un cervello. Dorothy lo aiuterà a liberarsi dalla sua posizione statuaria e lo inviterà ad accompagnarla nel cammino verso Oz. A seguire, l’incontro con un curiosissimo boscaiolo di latta, che aspira a possedere un cuore, e alle cui giunture, gli altri della storia aggiungeranno dell’olio per agevolarne i movimenti. Ultima, ma non meno importante, è l’apparizione del leone codardo, che brama dentro di sé l’eroica virtù del coraggio. Una serie di peripezie ostacola e rende avventuroso il loro viaggio, fin quando miracolosamente la brigata riuscirà ad arrivare a Oz. I protagonisti incontreranno finalmente il mago, ma la stessa Dorothy scoprirà che si tratta di un semplice essere umano che, spacciatosi per ciò che non era, aveva truffato l’intero popolo. L’uomo riuscirà in ogni caso a offrire ai suoi richiedenti l’oggetto dei loro desideri, non certo aiutato dalle sue prodigiose virtù, di fatto inesistenti, ma facilitato dall’ardente e animosa predisposizione dei personaggi ad accogliere il proprio cambiamento. Lo spaventapasseri, infatti, aveva già dimostrato durante il viaggio di essere molto intelligente e necessitava soltanto di un attestato che lo dimostrasse. Anche il leone aveva dato prova del suo coraggio e doveva solo ricevere una medaglia che lo confermasse. L’uomo di latta, infine, era già stato disponibile e affettuoso con Dorothy e gli altri: la sua capacità di amare richiedeva soltanto di essere applicata e così riconosciuta anche da se stesso, per questo il mago di Oz gli aveva donato un orologio a forma di cuore, come a voler sancire che fosse giunta “l’ora di amare”. La giovane Dorothy, invece, riceverà dal mago la mongolfiera per tornare finalmente a casa sua, ma un inconveniente le impedirà di volare e di rimettersi in viaggio. Saranno proprio le magiche scarpette luccicanti che, sbattute tre volte, riporteranno la ragazza nel suo letto, circondata dai suoi familiari e da tre contadini del posto, che la giovane riconoscerà nei tre personaggi suoi amici.
Una storia magica e meravigliosa al tempo stesso, che si orna e si decora di significati nascosti, primo fra gli altri, il desiderio – tutto umano – della ricerca che muove e sposta i personaggi sempre un po’ oltre il momento presente. Una ricerca, quella dei protagonisti, che ha l’obiettivo di colmare una carenza e di soddisfare un desiderio, percepito come necessario al raggiungimento della felicità; segue poi un immancabile disincanto, segno di una reale presa di coscienza. Ciascun personaggio, infatti, posto di fronte alle sfide dell’esistenza, si scopre già dotato della qualità ricercata, ritenuta erroneamente manchevole. Una lettura che si precisa come un monito: la virtù, e tutto ciò che completa e armonizza la nostra persona, risiede già dentro di noi e ha soltanto bisogno di un movente per esprimersi ed essere riconosciuta. Il mondo esterno, dunque, non aggiunge contenuti all’individuo, piuttosto ne facilita la sua scoperta. Credere, dunque, in se stessi o in qualcosa, è la condizione necessaria all’essere umano per sentirsi, scoprirsi e mostrarsi capace.
Il regno di Oz, inoltre, rappresenterebbe il luogo intimo entro cui ognuno rielabora le proprie esperienze personali a confronto soltanto con se stesso; è, dunque, il luogo della coscienza (a tal proposito, è bene ricordare che “oz” è un’unità di misura, essendo il simbolo dell’oncia). I tre personaggi amici di Dorothy sono dei simpaticissimi esempi di carenza umana. Lo spaventapasseri, reputandosi senza cervello, raffigurerebbe la leggerezza e la superficialità di pensiero e di azione. L’uomo di latta, in cerca di cuore, è il simbolo della difficoltà che si prova a esprimere se stessi e a comunicare amore. Il leone, bramoso di coraggio, è la metafora dell’uomo inetto e poco assertivo, espressione dell’incapacità di allineare il pensiero alle azioni. Invece, secondo la critica, il mago di Oz incarnerebbe l’autorità esterna, il “deus ex machina” dai poteri speciali in grado di sciogliere i nodi del racconto, restituendo a ognuno la felicità che gli spetta, al fine di garantire il lieto fine. La giovane Dorothy, infine, rappresenta l’esigenza – ancora tutta umana – di evasione e di ritorno a casa; una casa riconosciuta e desiderata come tale soltanto nel momento della lontananza: «Non importa quanto grigia e squallida sia la nostra casa, noi gente di carne e ossa preferiamo abitare lì che in qualsiasi altro luogo, per bello che possa essere».
È un mondo, quello di Oz, che mostra ai suoi spettatori la coesistenza – armonica e leggera – tra esseri con caratteristiche tanto peculiari: come possono andare d’accordo un leone, uno spaventapasseri, un uomo di latta e una bambina con tanto di cagnolino? C’è chi deve dormire e chi no, chi ha bisogno di cibo e chi di un po’ di olio alle giunture per non arrugginirsi, chi farebbe volentieri a meno di un cuore che fa soffrire e chi invece lo desidera sopra ogni cosa. «È questione di opinioni», dice a un certo punto il boscaiolo di latta, «basta saperle accettare anche se non coincidono con le nostre». Una storia che si tinge di dolcezza, dunque, popolata da figure rassicuranti e familiari che animano un mondo nel quale i sogni – raggiungibili – si ricamano e si cuciono aderenti all’orlo del nostro animo, al di là del cielo, forse oltre l’arcobaleno, viaggiando un po’ con la fantasia, come recita la canzone della stessa Dorothy. Questo mondo non deve essere necessariamente lontano da noi: «Ora so che, se dovrò di nuovo andare in cerca della felicità, non la cercherò più in là della mia stessa casa: perché, se non la trovo lì, vuol dire che non potrò mai trovarla».

Ludovica D'Erasmo
Fin da bambina coltiva la passione per la scrittura. I giochi di parole e le rime catturano la sua attenzione. Oggi studia Lettere moderne alla Sapienza e sulla scia di filosofi, scrittori e poeti realizza quello che, da sempre, è il suo grande sogno: scrivere un libro. Da tutto questo nasce "Rimasi". La sua scuola migliore, però, rimane il mondo campestre.