LetteraturaPrimo PianoAmleto, un personaggio immortale

Adele Porzia13 Gennaio 2022
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Capita poche volte di veder rappresentato un intero secolo in un solo personaggio. E, perché questo abile miracolo sia possibile, si necessita di una grande mano (e mente), che riesca a vedere il suo tempo per quello che è davvero e che infonda nel suo personaggio, un fantoccio apparentemente in suo potere, lo spirito di ogni epoca, in modo che si riveli nuovo a ogni secolo. E questa grande creazione, apparentemente una marionetta, un burattino nelle mani di un mago abilissimo, in verità è destinato a farsi indipendente e a vivere perfino per conto suo, arrivando ad assumere una propria personalità e a sfuggire dalle mani del suo stesso ideatore. Non dipende più dall’autore e deve a lui soltanto il momento della creazione.

E, di certo, non capita di rado che queste grandi menti si vedano umiliate dai propri personaggi. Non riescono a controllarli, a far di loro quello che vogliono. Capita con Emma Bovary nella scena della morte. Pare che sia morta e, invece, è viva, si riprende, muore da capo, dando un contorno grottesco alla vicenda e facendoci chiedere (ma se lo domandavano assai prima di noi Henry James e di certo gli amici di Gustave Flaubert) perché lo scrittore punisca tanto il suo personaggio. Forse, perché stanco dei suoi ammutinamenti e sabotaggi, quel continuo mancare di rispetto alla sua autorità?

E non capita, per esempio, solo in molte opere novecentesche, perché possano rendere visivamente la mancanza di controllo degli intellettuali sugli eventi. È un fenomeno che nasce con la letteratura. Forse perfino con quegli eroici guerrieri omerici, che sembrano addirittura senza padrone, lasciati vagare nella mente di chi li ricorda, nell’immaginario della grande epoca che caratterizzano, unica prova letteraria di tempi remoti.

È un po’ strano il rapporto tra autore e personaggio. Ed è quantomai ironico che un buon scrittore sia proprio colui che deve donare, tra le tante cose, quella scintilla d’infinito al suo protagonista, al punto di farlo vivere da sé – indipendente dal suo volere – e di farlo morire ben dopo la propria morte terrena. È andata così con Don Chisciotte, con Pinocchio, con Raskolnicov, con quei grandi indimenticabili personaggi che hanno saputo crescere e adattarsi alle epoche, avendo sempre qualcosa da dire ai contemporanei e riservando ancora molto ai posteri.

Si potrebbe considerare Amleto uno di questi grandi personaggi e, non a caso, si parla di una di quelle figure iconiche cui spesso si rivolgeranno gli scrittori novecenteschi per attingere quanto più possibile. Perché Amleto è molto più del simbolo inglese ed europeo del passaggio dal Medioevo al Rinascimento, alla nuova epoca di esplorazioni, fame e sete di conoscenza. Il periodo in cui a ogni angolo vi è un quesito e a ogni quesito un senso di atavica incertezza. Amleto è la sua epoca: dubita, eppure vuol indagare, scoprire come davvero stanno le cose. Cerca un modo ordinato per sfuggire al caso, per favorire la giustizia e pensare a un governo giusto.

Amleto è un personaggio immortale, perché ha in sé quell’inquietudine che si manifesta a cadenza secolare ogni qual volta ci si trova dinanzi al nuovo e all’incontrollato. Pare ci dica, come fece a Orazio, «ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne possa sognare la tua filosofia!». Non appena vede l’ombra del padre e scopre la verità, non agisce con la prontezza che ci aspetteremmo. Indaga, pur sapendo la verità, si fa assalire dal dubbio e non agisce se non alla fine, ma morendo a sua volta. A sopravvivere alla carneficina finale è l’erede al trono di Danimarca e Orazio, il poeta e filosofo. Il senso è chiaro: questi deve sopravvivere per raccontare la verità, perché tutto quello che è accaduto, quel marcio che aveva intossicato la Danimarca, non venga dimenticato, oscurato da eventi successivi.

Eppure, i posteri non hanno ricordato Orazio, ma Amleto e il suo «essere o non essere», nel punto di massima tensione dell’opera di William Shakespeare. È proprio in quel desistere fino all’ultimo, in modo così diverso da Oreste, il suo corrispettivo greco, che Amleto ha segnato la fine di tutto quello che l’ha preceduto, un periodo in cui pareva che si possedessero tutte le certezze. Un’epoca così diversa da quella di Dante, quando si poteva costruire l’Inferno attraverso le Sacre Scritture.

Non è un caso che il teatro, con la sua natura effimera, sia il perfetto simbolo di un’epoca di trasformazioni, in cui tutto viene scoperto di volta in volta, e in cui ogni verità viene costantemente  esaminata. Amleto è, quindi, un personaggio immortale. Sfuggito al suo padrone, diretto verso altre epoche, destinato a essere rimaneggiato, ripreso, ridipinto. Eppure, un personaggio senza padrone, come i grandi della letteratura mondiale.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.