LetteraturaPrimo PianoIl giorno sbalorditivo in cui Ernest Hemingway fu sconfitto a boxe

Adele Porzia28 Gennaio 2021
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2021/01/w4t4tw4tgwe4tgw4tgw3.jpg

È incredibile che, quando si parla di grandi scrittori, vi siano eventi e curiosità che, chissà per quale ragione, vengono totalmente (o quasi) taciuti e fatti cadere nell’oblio. Forse perché ritenuti di scarsa importanza rispetto a episodi più rilevanti, oppure perché con il pretesto di ricordare ciò che proprio non va scordato si decide di chiudere un occhio su accadimenti che finirebbero per togliere quella patina di irraggiungibile grandezza a molti amatissimi romanzieri, rendendoli più accessibili, per non dire più umani. E certo non privi di un’ironia che fa sorridere noi posteri.

Per esempio, in pochi sanno che una volta proprio il forte, robusto e coraggiosissimo Ernest Hemingway fu sconfitto a boxe. E non da un forzuto avversario, ma da uno scrittore gracilino quale era Morley Callaghan. Il tutto sotto l’arbitrato del grande Francis Scott Fitzgerald. Certo, una storia di scarsa importanza, ma di cui lo scrittore statunitense si vergognava tantissimo, e di cui non ha mancato di parlare in numerose lettere, molte delle quali scomparse in circostanze non del tutto chiare.

Nonostante questo, lo scrittore canadese Callaghan, che in Italia non è molto conosciuto, parla di questo scontro con il ben più famoso colosso in un suo libro autobiografico, incentrato su quell’estate del 1929, in cui Hemingway e molti scrittori vivevano e scrivevano a Parigi, in quella straordinaria epoca che di davvero bello e indimenticabile ha l’atmosfera culturale, splendidamente raffigurata nel film del 2011 Midnight in Paris, diretto da Woody Allen.

I due lavoravano, all’epoca, per il giornale Toronto Star ed Hemingway, allora scrittore emergente e presto celeberrimo, aveva tristemente abbandonato i racconti sulla boxe, cui si era dedicato sin da ragazzo, per occuparsi di temi di più ampio respiro, come la guerra e le corride. Ed effettivamente la scelta fu vantaggiosa per la sua carriera, ma un pomeriggio – mentre, da quello che si racconta, sorseggiava un bicchiere di vino – lesse, per puro caso, un racconto di Callaghan sulla sua amatissima boxe, pubblicato sulla rivista Scribner, assai in voga a quel tempo.

E in quel momento, vedendosi rubare il suo argomento prediletto, proprio non seppe trattenersi dall’insultare quello smilzo scrittore che osava – a parere di Hemingway – scrivere di una cosa che non conosceva e che mai avrebbe potuto conoscere. E lo sfidò persino in un incontro a boxe che, nell’euforia del momento, voleva si svolgesse proprio lì, a casa dello scrittore rivale, con la sua spaventatissima moglie come arbitro.

In seguito, evidentemente, sopravvenne il buonsenso, ed Hemingway propose un incontro all’American bar, dove avrebbero potuto disputare indisturbati il match. Mancava giusto giusto un arbitro e si offrì per l’occasione Francis Scott Fitzgerald, che tifava neppure tanto segretamente per Callaghan. Hemingway aveva avuto da ridire – in ben più di un’occasione – sulla bellissima quanto disturbatissima Zelda, la moglie, e Fitzgerald, un po’ come il suo Gatsby, non riusciva affatto a dimenticare il passato. Il giorno dello scontro, lo scrittore si presentò completamente ubriaco, esacerbando l’animo già tempestoso di Hemingway.

Iniziò lo scontro e i due presero a lottare e a colpirsi a vicenda, restando in parità per tutto il primo round. Durante il secondo, spinto dal desiderio di mettere al tappeto in fretta e furia il suo avversario, Hemingway prese a boxare con più forza e rapidità di prima, rivelando un prezioso dettaglio: lasciava scoperto il mento poco prima di colpire.

Un errore, questo, che si rivelò fatale, poiché subito Callaghan gli colpì il labbro con un poderoso montante, facendolo sanguinare copiosamente. Meravigliato, ma soprattutto infuriato, Hemingway lo colpì con ancora più furia. Callaghan continuò ad assestargli montanti sempre nel medesimo punto, fino a farlo cadere a terra. Stordito, lo scrittore si rialzò troppo tardi e Fitzgerald lo dichiarò sconfitto, a parere di Hemingway – che urlò al complotto – prima del tempo.

Qualunque sia la verità, l’amicizia tra i due romanzieri americani finì su quel ring. E quella tra Hemingway e Callaghan non durò più a lungo, dato che quest’ultimo lasciò trapelare la notizia della sua vittoria, seduta stante pubblicata su alcuni giornali di New York. Allo scrittore di Addio alle armi per poco non venne un colpo e subito si adirò, pretendendo che Callaghan si rimangiasse tutto e lo sfidasse nuovamente. E pieno di rimorsi, Morley esaudì il suo desiderio, pur di mantenere l’amicizia con Hemingway, ma poco c’era da fare: con lui aveva chiuso.

E tanto fece che la notizia sparì da tutti i giornali, scomparve dalle lettere – tranne in alcune, indirizzate ai familiari – e quasi non se ne parlò più. Ed era una faccenda così ben sepolta che neppure fece scalpore il racconto dettagliato di quell’incontro, pubblicato dallo stesso Callaghan nella sua autobiografia, due anni dopo il suicidio di Hemingway. Certamente, in quel frangente non si sarebbe potuto opporre a una così ignominiosa verità. Ma al suo posto intervenne il corteo dei suoi estimatori, poco propensi a consentire di sporcare l’immagine di quel mito che tanto amavano e che rimpiangevano di aver perso per sempre.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.