LetteraturaPrimo Piano“Il dialogo tra Eiros e Charmion”: come Edgar Allan Poe ha immaginato la fine del mondo

Lucia Cambria17 Maggio 2021
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Edgar Allan Poe, il maestro dell’orrore e del perturbante, compose anche quelli che potrebbero essere considerati dei “dialoghi platonici” che hanno luogo tra spiriti nell’aldilà: Il colloquio di Monos e Una, Il potere delle parole e, quello del quale si parlerà qui, Il dialogo tra Eiros e Charmion. Molto popolari all’epoca della loro pubblicazione, furono considerati «meditazioni che circondano la vita e la morte, il naturale e il soprannaturale».

Pubblicato sul Burton’s Gentleman’s Magazine, nel dicembre 1839, Il dialogo tra Eiros e Charmion raggiunse una popolarità tale da essere tradotto in francese. Nel racconto breve si parla della distruzione del mondo causata da un grande incendio, così come profetizzato nella Bibbia. Negli anni Trenta dell’Ottocento, un tale William Miller aveva annunciato che la fine del mondo si sarebbe verificata nel 1843: questa profezia, all’epoca, venne presa in grande considerazione. La tesi venne rafforzata dal fatto che in quegli anni si verificarono svariati fenomeni naturali, quali cadute di meteoriti e apparizioni di comete. Per questo motivo, Poe immaginò come una cometa potesse essere la cagione della distruzione della Terra.

Nel Dialogo, lo spirito Eiros (morto durante l’apocalisse) racconta a Charmion (morto invece dieci anni prima) le circostanze che hanno portato alla fine del mondo. Gli astronomi avevano osservato una cometa nel sistema solare e avevano notato come stesse sempre più avvicinandosi alla Terra. Le persone sottovalutarono la questione, credendo che non potesse avere effetti dannosi, ma subito dopo iniziò una fase di dolore e di delirio, provocata dalla conferma delle antiche profezie. Ciò è spiegato con l’assenza di azoto nell’atmosfera: l’ossigeno puro provoca questo comportamento vaneggiante negli uomini. L’impatto della cometa sulla Terra provoca un enorme incendio e una successiva esplosione.

Nei primi anni del XIX secolo, molte comete erano state avvistate: in particolare la Cometa di Halley nel 1835 e quella di Encke, che apparve nel 1838, sebbene il suo ritorno fosse previsto nel 1842. Tutti questi eventi alimentarono le fantasie e le previsioni su una probabile fine del mondo. Si crede che la storia di Poe sia stata in particolare ispirata dalla Cometa di Biela, che provocò un panico generale nel 1832, dopo un errore di calcolo circa la sua traiettoria: si pensò che avrebbe potuto colpire la Terra.

Lo scrittore era stato sin da piccolo affascinato dai fenomeni astronomici e un fatto di questo genere deve aver avuto sulla sua già prolifica immaginazione un effetto particolarmente consistente. Inoltre, nel 1843, venne avvistata la Grande Cometa, che sviluppò una coda di dimensioni incredibili: era lunga due unità astronomiche (due volte la distanza tra la Terra e il Sole) ed è stata la più lunga misurata fino alla Cometa Hyakutake nel 1996.

Ciò che affascina del breve dialogo di Poe, è l’assoluta scientificità di cui il personaggio si serve per narrare i fatti avvenuti. Ciò dimostra un grande interesse dello scrittore nei confronti dei fenomeni che in quegli anni stavano avendo risonanza. I due personaggi, all’inizio del dialogo, commentano cosa si provi a passare a miglior vita: «Questo non è un sogno!», dice Eiros, morto durante l’apocalisse. La risposta di Charmion è disarmante: «I sogni non sono più con noi». Egli è impaziente di conoscere i dettagli, di sapere le cause esatte che hanno condotto Eiros lì e che hanno posto fine alla Terra, che è «spaventosamente perita».

Si passa a una dettagliata descrizione degli eventi che avevano condotto alla caduta della cometa, fino a quando la luce di quella stella aveva iniziato a essere motivo di disperazione, non più di speranza: un furioso delirio si era impossessato degli uomini. Un bagliore si era impadronito di tutto e poi un boato aveva pervaso le cose.

Qui subentra anche il divino, perché Eiros dice che innanzi a quel suono si poteva pensare solo una cosa: che provenisse dalla bocca di «HIM» («Lui»). L’intero etere nel quale gli uomini si trovavano si era acceso d’una intensa fiamma d’una luce ignota persino agli angeli. Ecco che la fine assume un sapore quasi paradisiaco: essa è uguale e contraria al principio in cui Dio creò tutte le cose.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.