Non è possibile non considerare l’impatto che i materiali e le tecnologie, sviluppati durante il secondo conflitto mondiale, ebbero sul design postbellico, specialmente negli Stati Uniti. A differenza dell’Europa, l’America emerse dalla guerra più forte e sicura che mai: le fabbriche che avevano sfornato aerei, carri armati, munizioni e altro materiale bellico in quantità davvero impressionanti, a conflitto terminato erano pronte a prepararsi per una produzione di massa di beni di consumo senza precedenti. Allo stesso tempo, il periodo di pace ispirò un forte senso di “nidificazione” nella popolazione, il che non sorprende dato il distacco e le incertezze fisico-emotive che la gente aveva dovuto sopportare durante gli anni della guerra.
Cessate le ostilità, il simbolo del sogno americano è stato senza dubbio incarnato dalla “famiglia di periferia”, un ritratto di perfezione composto da mamme casalinghe, papà con impieghi sicuri in grandi società, bambini che vivono felici in case spaziose con arredi ed elettrodomestici contemporanei e, naturalmente, con una grande automobile parcheggiata nel vialetto.

Questa visione di benessere spensierato rifletteva un desiderio diffuso negli americani che implicava considerevoli livelli di consumo e uno stile di vita sostenuto da un’industria pubblicitaria ormai altamente sofisticata e tecnologica.

Uno dei primi progetti americani a produrre clamore sulla scena del design internazionale del dopoguerra fu la serie di sedie in multistrato sagomato di Charles e Ray Eames, che durante la guerra progettarono tutori in compensato e barelle per le forze armate statunitensi. Progettata nel 1945-46, questa serie di sedute ha aperto la strada al modellamento del compensato in seducenti forme ergonomiche. Almeno inizialmente, però, il mercato del dopoguerra era invaso di oggetti costosi ma di scarsa qualità, in netta antitesi con le sedie degli Eames.

Quando il pubblico americano si trovò di fronte a un eccesso di merce scadente, il ruolo del design divenne uno degli argomenti principali e creò un acceso dibattito tra i suoi cultori, tanto che organizzazioni come il Museo di Arti Moderne (MoMA) di New York cercarono di promuovere prodotti meglio progettati. A questo proposito, nel 1948, Edgar Kaufmann Jr – direttore del design industriale del museo – organizzò un prestigioso concorso, chiamato “International Competition for Low-cost Furniture Design” (“Concorso Internazionale per mobili di design a basso costo”), che prevedeva lo sviluppo di idee per arredi con costi contenuti adatti a salotti, camere da letto e sale da pranzo contemporanee e che cercava di contrastare l’approccio di molte celebrità del design industriale americano. L’evento aveva anche lo scopo di stimolare un ritorno internazionale ai principi del Movimento Moderno e faceva parte di un più ampio programma di riforma del design noto come “Good Design”.

La risposta a questa competizione – che premiava i vincitori delle diverse categorie con titoli e assegni di ricerca per un totale di 55.000 dollari – fu straordinaria: vennero ricevute più di 3mila iscrizioni, molte dagli Stati Uniti, ma una gran parte anche da progettisti provenienti da oltre 30 paesi oltreoceano. Un ulteriore incentivo garantito dalla competizione era che i produttori associati all’evento avrebbero messo in produzione i progetti premiati, esponendoli in circa 200 negozi in tutta l’America e dando ai progettisti un reddito ricavato sulle royalty di tutte le vendite generate dall’iniziativa. I vincitori vennero annunciati all’inizio del 1949 e la categoria “storage” fu vinta dal duo britannico composto da Robin Day e Clive Latimer, le cui eleganti unità modulari erano altamente adattabili e riflettevano la necessità postbellica di mobili multifunzionali e salva-spazio. Fu però nella categoria relativa alle sedute che furono presentati i progetti più interessanti e insoliti, alcuni dei quali sfiorarono positivamente il bizzarro. Sebbene il primo premio venne vinto congiuntamente dal designer berlinese Georg Leowal e da Don Knorr di San Francisco, il vero protagonista del concorso fu – in realtà – un gruppo di sedie presentate dagli Eames, che vinsero il secondo premio.

Sviluppata in collaborazione con un gruppo di ingegneri e specialisti di Herman Miller, dello Zenith Plastic di Gardena in California e del dipartimento di ingegneria dell’Università della California a Los Angeles, la rivoluzionaria suite di sedute degli Eeames comprendeva una poltrona e una sedia senza braccioli che utilizzavano sedili a forma di conchiglia realizzati in plastica stampata rinforzata in vetro (fibra di vetro). Ma non fu solo la scelta di questo materiale all’avanguardia a rendere queste sedute così rivoluzionarie, né l’uso di tecnologie pionieristiche; fu anche il fatto che si basavano sull’utilizzo di una seduta universale che poteva essere utilizzata insieme a una vasta gamma di basi intercambiabili con lo scopo di fornire numerose varianti di un unico semplice concept. Oltre a essere uno dei primissimi sistemi di sedute completamente integrabili, le sedie della serie “Plastic Shell” furono tra le prime sedute prodotte in serie in plastica non foderata; anzi, il progetto degli Eeames fu – in generale – tra i primi articoli di consumo in plastica a essere prodotto su larga scala, divenendo simbolo di una modernità in continua evoluzione.

Greta Aldeghi
Laureata in design, lettrice incallita e viaggiatrice creativa. Adora design, arte, architettura, scrittura e la ricerca senza fine di nuove esperienze da affrontare.