ArtePrimo PianoIl “cibo dei morti” nelle sepolture etrusco-celtiche dell’Appennino bolognese

Alice Massarenti21 Agosto 2020
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La frequentazione dell’area del massiccio di Monte Bibele, nei pressi di Monterenzio (BO), comincia nell’Età del rame ma appartiene alla Seconda Età del ferro, databile tra la fine del V e gli inizi del II secolo a.C., l’insediamento etrusco-celtico che si sviluppa lungo la sommità del massiccio, comprendente un abitato dell’estensione di circa 7000 m2 – sul versante denominato Pianella di Monte Savino – e la rispettiva necropoli, composta di 161 tombe dislocate lungo il versante occidentale di Monte Tamburino. L’abitato di Pianella di Monte Savino si sviluppa secondo un preciso piano urbanistico su una decina di terrazzamenti artificiali consecutivi, con andamento nord-sud. Le strutture sinora individuate, di carattere pubblico e privato, presentano piante quadrangolari di 30-40 m2 con murature a secco e sono servite da un sistema di strade e rampe in ciottoli e da una grande cisterna per la captazione dell’acqua. I dati faunistici dell’abitato di Monte Bibele mostrano come l’economia fosse basata soprattutto sullo sfruttamento della carne delle principali specie domestiche, in particolare suini. Integrano l’insieme delle risorse animali la caccia al cervo e altri animali selvatici, anch’essi cacciati sia per la carne che per le pelli. Il dato particolarmente interessante è proprio la consistenza dell’attività venatoria, forse appannaggio di una classe aristocratica per la quale l’arte della caccia fosse un piacere e un privilegio.

Nella necropoli di Monte Tamburino sono state rinvenute sepolture, per la maggior parte a inumazione, che coprono un arco cronologico che va dalla fine del V alla metà del III secolo a.C. I resti osteologici faunistici recuperati dalle tombe di Monte Tamburino testimoniano la deposizione di offerte alimentari costituite da porzioni carnee di animali di allevamento, in maggioranza maiale. La necropoli di Monterenzio Vecchio, coeva all’abitato di Pianella di Monte Savino, ha restituito circa 50 tombe disposte su terrazzamenti artificiali secondo file allineate in direzione nord-sud. Non è ancora nota l’ubicazione dell’abitato cui faceva capo la necropoli. Il rito attestato con maggior frequenza è l’inumazione entro grandi fosse rettangolari, per gli adulti, mentre per i bambini le fosse erano scavate in maniera piuttosto sommaria. La maggior parte delle sepolture integre di adulti conteneva resti osteologici faunistici, solitamente in associazione a ricchi corredi vascolari da banchetto e simposio, ornamenti, utensili legati alla cura del corpo e armi, che caratterizzavano le sepolture di guerriero. Oltre al servizio da libagione e banchetto vanno ricordati alcuni utensili che rimandano direttamente al sesso del defunto: armi quali spade, lance, giavellotti e scudi per le tombe maschili, strumenti legati alla filatura come le fusaiole in terracotta, per quelle femminili.

La pratica di deporre nelle tombe offerte funerarie carnee era diffusa nel territorio dell’Etruria Padana già prima dell’arrivo dei Celti. Le prime testimonianze della deposizione di offerte alimentari nelle sepolture risalgono in ambito italico alla metà dell’VIII secolo a.C., in parallelo al diffondersi di corredi tombali comprendenti vasi accessori legati al banchetto e al simposio riservati a uomini e donne di rango elevato. Il diffondersi di tale pratica è strettamente legato all’ideologia del banchetto che, soprattutto fra il VI ed il V secolo a.C., avrà grande diffusione nell’Italia centro-settentrionale e in particolare nei territori dell’Etruria tirrenica. A partire dal IV secolo a.C. si assiste a una notevole standardizzazione dei corredi e delle stesse offerte alimentari, che entravano ormai a far parte della pratica funeraria indipendentemente dallo status sociale del defunto.

I ricchi corredi tombali – comprendenti offerte alimentari – delle necropoli etrusco-celtiche di Monterenzio Vecchio e di Monte Tamburino sono un chiaro esempio di come si attuò in pratica, sul territorio dell’Etruria Padana, l’integrazione culturale fra gli Etruschi, stanziati da secoli, e i gruppi di popolazioni celtiche d’oltralpe che arrivavano sempre più numerosi. Nella sfera della ritualità funeraria i Celti mutuarono la pratica tipicamente etrusca di deporre nelle tombe un servizio vascolare ceramico da banchetto, mantenendo però a loro volta anche in territorio italico l’usanza di deporre armi all’interno delle tombe. La pratica di deporre offerte alimentari all’interno delle sepolture era invece già in uso in entrambe le culture, anche se forse con funzioni e significati diversi. Questo tipo di offerta si lega alla pratica rituale – nota nell’antichità – di celebrare banchetti in onore del defunto, durante i quali era previsto il sacrificio di animali, e il conseguente consumo della loro carne da parte dei convitati e dei parenti del defunto. Il gesto di deporre un animale, o solo una parte di esso, all’interno di una tomba poteva essere il riflesso di una pratica sacrificale, che si concretizzava con la deposizione di un’offerta votiva per il defunto o per le divinità, ma al contempo poteva anche avere lo scopo di fornire cibo al defunto: un vero e proprio pasto, pronto per essere consumato, a simboleggiare la partecipazione del defunto al banchetto funebre celebrato in suo onore e al contempo una scorta di cibo per la vita nell’oltretomba.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.