Uno spettro si agita da decenni all’interno del dibattito filosofico europeo: l’Idealismo. Considerato fuori moda e privo di argomenti che possano interessare la contemporaneità, si staglia ugualmente come “convitato di pietra” in ogni discussione su quasi tutti gli snodi concettuali del pensiero, che si impongono prepotentemente alla postmodernità. Politica, economia, psicoanalisi ne sono fortemente intrisi, anche se preferiscono sovente obliare questo scomodo genitore.
Apice di questa corrente filosofica, che si impose nel mondo tedesco all’inizio dell’Ottocento, è – senza ombra di dubbio – Friedrich Hegel: dominatore del mondo accademico per quasi un secolo, padre nobile di filosofi molto distanti tra loro quali Karl Marx, Giovanni Gentile e Benedetto Croce; nemico implacabile di Arthur Schopenhauer, Søren Kierkegaard e Friedrich Nietzsche, il quale lo definì addirittura «sicario della verità».
La stessa struttura del sapere europeo continentale è stata forgiata seguendo i dettami dell’hegelismo. Se nelle scuole italiane si insegnano le varie discipline seguendo un percorso cronologico e non tematico, infatti, ciò è dovuto alla visione storicistica di Hegel, il quale era convinto che ogni filosofo, letterato e artista fosse figlio della sua epoca e che il suo pensiero e la sua opera fossero il frutto di uno sviluppo organico, susseguitosi nel corso dei secoli. Non ci sarebbe stato Aristotele se prima di lui non ci fosse stato Platone, non si sarebbe potuto avere Dante Alighieri se non all’interno di quel crogiolo di fermenti politici e culturali che fu la Firenze del Trecento.
Il filosofo di Stoccarda è certamente da annoverare tra i grandi “presuntuosi” della storia del pensiero, poiché convinto di avere compreso il processo di svolgimento del reale che gli avrebbe consentito di dar ragione di ogni fenomeno: da quelli naturali a quelli storico-culturali. Chiave di volta della sua speculazione è la “dialettica”, in cui rinveniva la legge immutabile di sviluppo di quell’unico principio alla base di tutto: la Ragione. Essa, infatti, si sviluppa seguendo un processo triadico, fatto di Tesi, Antitesi e Sintesi. La Tesi rappresenta una determinata situazione, apparentemente stabile, al cui interno si sviluppa una contraddizione (Antitesi), che funge da motore per giungere a un nuovo “status quo” (Sintesi), che ripropone il positivo della Tesi dopo aver rimosso il negativo. A sua volta la Sintesi diverrà Tesi, per poi sviluppare una nuova contraddizione e così via.
Un primo punto da notare è la dinamicità del reale che, inquieto come il protagonista di un romanzo di formazione, procede sempre avanti verso il meglio. Questo ha portato molti interpreti ad accusare Hegel di “giustificazionismo” e in effetti il suo pensiero pare accettare ogni evento storico – anche il più deleterio – come inevitabile catalizzatore di cambiamenti che si riveleranno, infine, positivi. Ciò vale sia per la storia delle nazioni e dei popoli, sia per le vicende dei singoli individui, che solo attraverso «il travaglio del negativo» possono ritrovare se stessi e migliorare.
Un punto particolarmente controverso tra gli interpreti è la cosiddetta “fine della storia”, che Hegel sembra in alcuni passi adombrare. Il sistema dialettico potrebbe essere rappresentato graficamente come una spirale; il problema è se la si deve immaginare come chiusa o aperta. Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche sembra quasi che Hegel affermi che, nella sua epoca, la Storia abbia raggiunto la massima forma di razionalità possibile, per cui lo Stato prussiano, la religione cristiana riformata e la filosofia idealista sembrano essere il culmine insuperabile della parabola evolutiva della Ragione: di meglio non ci potrà mai essere. Di questo avviso sono molti interpreti classici dell’hegelismo, come – ad esempio – Nicola Abbagnano. La critica più recente, al contrario, rileva la palese contraddizione di una simile analisi, che negherebbe le basi teoretiche su cui si fonda tutta la speculazione di Hegel. Secondo questi interpreti il Sistema andrebbe considerato come una spirale a sintesi aperta e ad avvalorare questa tesi ci sarebbe una famosa frase contenuta nella prefazione dei Lineamenti della filosofia del diritto: «La filosofia è come la nottola di Minerva che spicca il volo sul far della sera». Questa bellissima e poetica immagine starebbe a significare che nessun filosofo, nemmeno Hegel stesso, può ergersi a veggente e prevedere il futuro, ma deve limitarsi a tirare le somme di ciò che è avvenuto prima, traducendo in concetti il proprio tempo e quello passato. Se questa interpretazione è corretta, allora anche Hegel avrebbe ammesso che un novo giorno sarebbe sicuramente sorto al tramonto del suo tempo e che nuove forme politiche, simboliche e culturali si sarebbero certamente affacciate sul palcoscenico della Storia, lasciando a una nuova filosofia il compito di interpretarle.

Giorgio Zaccaria
Nato a Taranto nell'ormai lontano 1975, laureato in Filosofia con lode presso l'Università di Bari, inizia ben presto a viaggiare per dare sollievo a uno spirito inquieto. Insegna Filosofia e Storia presso il Liceo “Aristotele” di Roma. Appassionato da sempre di letteratura, arte, fumetti e cinema, viene travolto in tenera età da insana passione per la musica, cosa che lo spinge a suonare il basso in due band capitoline.