Panezio, conosciuto anche come Panezio di Rodi, è stato un filosofo greco antico. Allievo di Diogene di Seleucia e Antipatro di Tarso, contribuì – insieme a Pasidonio che fu suo discepolo – alla creazione di uno stoicismo eclettico che va sotto il nome di Media Stoà.
Panezio nacque intorno al 185 a.C. da nobile famiglia e dapprima si recò a Pergamo, per frequentare i corsi del filologo Cratete di Mallo, e poi si stanziò ad Atene, dove si avvicinò allo Stoicismo ascoltando le lezioni di Diogene di Seleucia e di Antipatro, avvicendatisi alla guida della Stoà .
Soggiornò a Roma tra il 145 e il 130 a.C. e fu in rapporto con Scipione Emiliano e Lelio, insieme a Polibio (il cui pensiero presenta delle analogie con il pensiero di Panezio, specialmente per quel che concerne l’ideale della costituzione mista), contribuendo alla diffusione delle concezioni stoiche presso i Romani. Tornato ad Atene, successe nel 129 a.C. ad Antipatro di Tarso nello scolarcato della scuola stoica.
La produzione di opere di Panezio non fu certo vasta come quella di molti altri filosofi ellenistici; tuttavia egli compose un’opera di fondamentale importanza intitolata Sul dovere, un trattato che sarà ripreso da Cicerone nei primi due libri del De officiis; accanto a questo trattato sono da menzionare anche Sulla provvidenza, Sulla necessità di sopportare il dolore, Sulla gioia dell’animo e la Lettera a Q. Tuberone su un carme di Appio Claudio Cieco. Di tutto ciò ci rimangono un centinaio di frammenti.
Lo stoicismo di Panezio è caratterizzato dalla ripresa di motivi platonici e aristotelici, di cui si cerca la conciliazione con le dottrine stoiche, mitigate nel loro rigorismo. Panezio crede nell’eternità del mondo, combatte la divinazione, rivendica il libero arbitrio, nega l’immortalità dell’anima (nella quale distingueva una parte razionale – l’egemonico – propria solo dell’uomo; una parte irrazionale, comune anche agli animali; e una parte naturale, posseduta anche dalle piante), ammette la possibilità di un progresso dell’uomo verso la virtù, per la quale si richiede la cooperazione della totalità degli uomini.
Rispetto allo Stoicismo classico, Panezio sostenne una concezione meno rigida della virtù e rifiutò la teoria della abolizione delle passioni (apátheia). Compito della ragione non è sopprimere gli istinti ma disciplinarli e controllarli.
Per quel che riguarda la dottrina dell’anima , egli non arrivò a sostenere la sua immortalità ma vi distinse una parte irrazionale, composta di aria, e una razionale, di natura ignea.
In relazione all’etica, Panezio individua quali siano i doveri per tutti gli uomini, anche per quelli che non hanno ancora raggiunto la perfezione. Essi sono definibili in relazione alle diverse posizioni sociali e circostanze della vita e nel rispetto delle regole della convivenza civile.
La virtù fondamentale per Panezio è la socialità a cui si affianca la beneficienza che collabora favorevolmente al benessere della comunità; inoltre alla virtù tradizionale della fortezza Panezio sostituisce quella della magnanimità intesa come grandezza d’animo che scaturisce da un naturale istinto a primeggiare sugli altri.
La fonte primaria per la conoscenza del filosofo è Cicerone: il De Officiis è infatti costruito sul modello dell’opera di Panezio Sul dovere.

Francesca Ricciuti
Abruzzese, classe '85. Laureata con lode in Filologia Classica presso la Sapienza di Roma. Da sempre appassionata delle lingue classiche, ha insegnato sia privatamente che a scuola.