ArteIn EvidenzaI tratti napoletani di Edgar Degas

Valentina Merola2 Gennaio 2022
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Forse non tutti sanno che Edgar Degas, il più borghese tra i maestri dell’Impressionismo, il pittore che più di tutti ritrasse la vita contemporanea della sua Parigi, ebbe un profondo legame anche con una città italiana: Napoli. Un legame anzitutto familiare: il nonno, René Hilaire De Gas, nobile bretone, lasciò la capitale francese al tempo della Rivoluzione e si rifugiò nella città partenopea, dove visse con parte della famiglia ed ebbe fortuna come banchiere. Il giovane Edgar viveva però a Parigi con suo padre, il quale era ritornato per aprire una succursale della banca. Al fine di seguire le orme paterne, nel 1853 s’iscrisse alla Facoltà di Diritto, ma prepotente fu in lui la vocazione artistica e volle lasciare gli studi, incrinando i rapporti con il padre. Viceversa, René appoggiò la decisione del nipote; e così, un anno dopo, appena ventenne, Degas partì per Napoli, risiedendo con suo nonno nel Palazzo Pignatelli di Monteleone, in Calata Trinità Maggiore, a due passi da piazza del Gesù.

Edgar Degas, Ritratto di Hilaire De Gas, 1857, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi

Ambientarsi nella nuova città non fu affatto difficile; del resto Napoli era una capitale culturale, città vivissima, permeata dal fervore di intellettuali, scrittori, musicisti, artisti. Qui apprese le prime nozioni di disegno e di pittura, frequentando l’Istituto Reale di Belle Arti come studente esterno ed entrando in contatto con i maestri partenopei, in particolare con il più famoso dei fratelli Palizzi, Filippo.

Si deve dunque tener conto, in un’analisi artistica delle opere del pittore francese, del periodo e dei periodi napoletani che si susseguirono nel corso della sua vita? Certamente è anche in queste radici che si potrebbe riscontrare l’originalità di Degas rispetto agli altri impressionisti. Al contrario del gruppo con a capo Monet, l’artista parigino non dipinse “en plein air” (alla luce naturale), ma lavorò con annotazioni grafiche o fotografiche e non abbandonò la linea del disegno. Nelle sue opere cercò di cogliere in un moto istantaneo i suoi soggetti, studiando prospettive ardite, e in questo lo aiutò sicuramente la fotografia.

Edgar Degas, Ballerine dietro le quinte, 1879, pastello, Museo Puskin, Mosca
Edgar Degas, Ballerine in posa

Tali aspetti potrebbero essere maturati anche nell’osservazione della società napoletana, come meglio spiegano le parole di Paul Valéry: «Tenterei di spiegare questa maniera mimica di Degas con il coesistere di tre condizioni. C’è prima di tutto quel sangue napoletano di cui ho parlato. La mimica viene da Napoli, dove non esiste parola senza gesto, racconto senza imitazione, persona senza una moltitudine di personaggi, sempre possibili e sempre pronti».

I soggetti scelti dal pittore sono quelli che gli permettono di indagare l’istantaneità dell’azione: su tutti le sue famose ballerine, ma anche le corse di cavalli. Degas frequentava i campi da corsa proprio attirato dal moto di questi animali e sviluppò nelle sue tele il tema equestre.

Edgar Degas, Cavalli da corsa davanti alle tribune, 1866-1868, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi

Nel dipinto Cavalli da corsa davanti alle tribune, ad esempio, Degas raffigura dei cavalli che, con i rispettivi fantini, si dispongono per procedere alla gara imminente, mentre uno di essi sfila dinanzi alle tribune. Sullo sfondo, lo scatto di uno dei cavalli crea l’effetto di dinamismo ricercato dal pittore che fa sì che sia chiaro cosa sta per accadere. La pittura è chiara e la luminosità è diluita; la tavolozza forma contrasti cromatici alternando l’uso dei colori e accentuando le ombre. La composizione è nuova, poiché lascia fuori elementi quali parti della tribuna sulla sinistra e la testa del cavallo sulla destra: il taglio è allora assolutamente fotografico, la visione è casuale, dinamica. Certo, quando Degas realizzò quest’opera, viveva immerso in una benestante vita parigina; ma qualche anno prima, a Napoli, aveva potuto ammirare il suo amico Filippo Palizzi trattare lo stesso tema.

Ancora giovane, Filippo dimostrò una padronanza del mondo della natura che lo renderà il pittore degli animali per eccellenza, cogliendone i particolari e rappresentandone il carattere. Come il collega parigino, sarà tra i primi a interessarsi di fotografia e arriverà a sfumare i contorni senza dissolverli completamente. E non ultimo tra gli elementi comuni ai due pittori, la resa dell’attimo nel movimento, evidente nel suo Cavallo Sfrenato, simbolo iconografico partenopeo.

Filippo Palizzi, Cavallo Sfrenato, 1876, acquerello su cartoncino, Collezione d’arte della provincia di Napoli

Se è imprescindibile, nello studio delle opere d’arte, il contesto nel quale un artista si muove, non si può non considerare l’influenza partenopea e il rapporto che Degas aveva con la città di Napoli, nella quale tornò più volte, anche dopo la morte del nonno René. Una frase attribuita allo scrittore francese Stendhal recita: «In Europa ci sono due capitali: Parigi e Napoli». Questo a sottolineare un legame esistente tra le due città. Un legame che per Degas, che all’arte dedicò e sacrificò tutto, era anche di sangue.

Valentina Merola

Laureata in Didattica dell’Arte, ha conseguito i suoi studi tra l’Accademia di Belle Arti di Napoli e l’Université Paris VIII di Parigi, con indirizzo “Arts, Philosophie, Esthétique”. Appassionata di filosofia e arte, in particolare quella medievale e rinascimentale, amante di libri e vecchie cartoline.