ArtePrimo PianoI Pilastri dell’Arte: Giuseppe Pellizza da Volpedo e la genesi de “Il Quarto Stato”

Martina Scavone19 Maggio 2020
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Il pittore piemontese Giuseppe Pellizza (1868-1907), detto da Volpedo poiché nato nell’omonimo comune in provincia di Alessandria, fu un noto pittore italiano, esponente dapprima del movimento pittorico divisionista, poi esponente della corrente sociale. Si formò all’Accademia di Belle Arti di Brera, all’Accademia di San Luca e alla scuola libera di nudo all’Accademia di Francia a Villa Medici. Tuttavia, deluso da Roma, si trasferì a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti, come allievo di Giovanni Fattori (1825-1908), uno tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli. Dopo un’esperienza all’Accademia Carrara di Bergamo e all’Accademia Ligustica di Genova, tornò nel suo paese natale, dove nel 1892 sposò una contadina locale, Teresa Bidone. Pellizza è pertanto un artista di umili origini, da egli traslate nell’opera che – più delle altre – lo ha reso celebre. Il Quarto Stato è infatti uno dei quadri più conosciuti del XX secolo, oggi conservato nelle sale del Museo del Novecento di Milano. La genesi della tela è lunga e complessa: Pellizza inizia a lavorare al soggetto il 16 luglio 1895, ma impiega sei anni per concludere il lavoro. Inizialmente, dopo aver assistito a una manifestazione di protesta di un gruppo di operai, esegue delle prove ad olio dal titolo Ambasciatori della fame (1891), dove un insieme di persone indefinite – viste dall’alto – sono raffigurate in marcia in una giornata di sole, nella piazza di palazzo Malaspina, a Volpedo. Nonostante la composizione fosse ancora a uno stato embrionale, Ambasciatori della fame si imposta già come caposaldo per le successive redazioni dell’opera finale.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Ambasciatori della fame, 1891, Milano, Civica Galleria d’Arte Moderna

In ogni caso, questa versione non soddisfa il pittore, che decide di rivederla creando numerose altre opere come Piazza Malaspina a Volpedo (1891) e altre due versioni (una del 1892 e l’altra del 1895) che lo porteranno a concepire un quadro di più grandi dimensioni: La Fiumana. Quest’ultima rappresenta di fatto un punto di rottura con gli antecedenti Ambasciatori della fame: infatti, come lascia intendere lo stesso titolo, viene mostrata una numerosa “fiumana” di lavoratori che avanza con fare sicuro. Realizzata con la tecnica del Divisionismo, viene prediletto un punto di vista meno alto, in modo da dare maggiore enfasi alla folla, stavolta portata più in avanti; inoltre l’effetto luministico è di maggiore intensità e la costruzione più espressiva. Lo scopo di Pellizza, infatti, era quello di restituire vitalità a un popolo che non era più «una natura morta, ma una massa vivente e palpitante».

Giuseppe Pellizza da Volpedo, La Fiumana, 1898, olio su tela, 255×438 cm, Milano, Pinacoteca di Brera

Ma anche questa volta l’artista non è completamente soddisfatto e continua a realizzare bozzetti e schizzi. Adottando una tela ancora più grande ma facendo uso della medesima tecnica pittorica, nel 1898 Pellizza comincia a lavorare a Il cammino dei lavoratori, propedeutico a Il Quarto Stato. Stavolta ad essere raffigurata non è più una «fiumana umana», bensì «uomini del lavoro» che incedono lentamente, con calma. La stesura del Cammino dei lavoratori richiese tre anni e Pellizza poté posare il pennello solo nel 1901 quando, a opera completa, decise di darle un nuovo titolo, Il Quarto Stato, che allude all’espressione inizialmente usata per definire i ceti sociali meno abbienti, poi assurta a sinonimo di proletariato durante la Rivoluzione Industriale. Ancora una volta, vediamo dunque una folla incedere lentamente verso lo spettatore; a farne parte sono contadini e braccianti di ogni sesso ed età, guidati da tre figure centrali, due maschili e una femminile – plasmata sulle fattezze della moglie del pittore e con in braccio un bambino – che esorta i manifestanti a seguirla. Fra questi ultimi, disposti orizzontalmente in secondo piano, compaiono i volti di numerosi amici di Pellizza, spesso nativi – come lui – di Volpedo. Tale disposizione orizzontale è una soluzione compositiva che da un lato ricorda il classicismo dei fregi, dall’altra evoca brutalmente una situazione molto realistica, quale può essere – per esempio – una manifestazione di strada. Trattasi, in ogni caso, di un connubio che trova riscontro in alcuni capolavori a cui Pellizza deve senz’altro aver guardato, come la Scuola di Atene di Raffaello e L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1898-1901, olio su tela, 293×545 cm, Milano, Museo del Novecento

Ma la vera particolarità di questo dipinto sta nel fatto che è la prima volta nella storia dell’arte italiana che un pittore sceglie di rappresentare direttamente la questione operaia. Fu proprio a causa della natura del soggetto che l’opera ricevette un tiepido benvenuto. Pellizza tentò più volte di esporla in mostra, circostanza che si concretizzò nel 1907 presso la Società promotrice di Belle Arti a Roma. Fu l’unica volta che il pittore vide in esposizione la sua opera: infatti il 14 giugno dello stesso anno, non ancora quarantenne, si suicidò senza mai sapere che – anni dopo – il dipinto sarebbe entrato a far parte della collezione della Galleria di Arte Moderna che nel 1921 lo acquistò al prezzo di cinquantamila lire e lo collocò nel castello Sforzesco, più precisamente nella sala della Balla. L’opera rimase visibile in quel luogo fino agli anni trenta quando, durante la riorganizzazione degli allestimenti del museo voluta dal fascismo, venne sistemata in un deposito, da cui riemergerà nella metà degli anni cinquanta, quando venne collocata nella sala Giunta di Palazzo Marino. Fu proprio durante la permanenza in quest’ultima sede che Il Quarto Stato raggiunse la fama odierna, anche grazie all’opera critica di Corrado Maltese (1921-2001), che descrisse il dipinto quale il «monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia». Anche la cinematografia se ne interessò: il dipinto fu scelto per fare da sfondo ai titoli di testa nel film Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci e, nel 2003, Emilio Mandarino gli ha dedicato l’omonimo cortometraggio. Il Quarto Stato rimase a Palazzo Marino fino al 1980, quando fu restaurato e trasferito nella Galleria d’arte moderna di Milano, in una sala interamente dedicata al Divisionismo; dal dicembre del 2010 trovò la sua collocazione definitiva nel Museo del Novecento, di cui costituisce la prima opera esposta. Inoltre Il Quarto Stato è stato scelto dagli organizzatori dell’Expo del 2015 come una della sei opere d’arte rappresentative della città.

Martina Scavone

Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.