È notizia recente il risultato di una campagna di indagini condotta da un team internazionale di studiosi secondo cui Leonardo in realtà non avrebbe mai dipinto sulle pareti del Salone dei Cinquecento la celebre Battaglia di Anghiari, l’opera considerata perduta del genio di Vinci.

Ma facciamo un passo indietro: nell’aprile del 1503 Pier Soderini (1450-1522), gonfaloniere a vita della rinata Repubblica fiorentina, affidò a Leonardo (1452-1519) – da qualche anno tornato in città dopo il lungo e prolifico soggiorno milanese – l’incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Si trattava di un’opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, che lo avrebbe visto confrontarsi direttamente con il suo collega e rivale Michelangelo (1475-1564), a cui era stato commissionato un affresco gemello su una parete vicina, la Battaglia di Cascina (combattuta il 29 luglio 1364, contro i Pisani). La scena commissionata a Leonardo ripercorreva un altro episodio bellico, ossia lo scontro tra esercito fiorentino e milanese avvenuto il 29 giugno 1440 e passato alla storia come Battaglia di Anghiari, che avrebbe dovuto celebrare il concetto di “libertas” repubblicana, attraverso le vittorie contro nemici e tiranni. Dopo aver elaborato per oltre un anno il cartone preparatorio nello studio per lui allestito nella Sala del Papa presso il Convento di Santa Maria Novella, il maestro iniziò il lavoro nella Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Vecchio, avvalendosi di una tecnica a olio simile alla pittura a encausto, presumibilmente dedotta dall’Historia Naturalis di Plinio il Vecchio. Egli scelse tale tecnica in quanto avrebbe reso possibile una gestazione più lenta e riflessiva; tuttavia, pur avendo dato buoni risultati applicata su una superficie dalle dimensioni ridotte, si rivelò inefficace e instabile sulla grande parete. Così come descritto da Plinio, Leonardo accese dei grandi fuochi davanti al dipinto per asciugare i colori con l’ausilio delle elevate temperature; ma l’opera era troppo vasta affinché la tecnica funzionasse e i colori, anziché essiccarsi, iniziarono ad affievolirsi, sino a scomparire del tutto. In seguito a questo disastroso esito tecnico e assai frustrato dall’insuccesso, tra il 1505 e il 1506 Leonardo sospese i lavori e partì alla volta di Milano, come ci riportano le fonti. Primo fra tutti, fu Paolo Giovio (1483 ca.-1552) a vedere i resti del dipinto, di cui lasciò una viva descrizione nella sua biografia di Leonardo: «Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui Pisani, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell’intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce. Ma il rammarico per il danno inatteso sembra avere straordinariamente accresciuto il fascino dell’opera interrotta».

Infatti, malgrado il progressivo deterioramento a cui era soggetta, la Battaglia di Anghiari rimase esposta a Palazzo Vecchio per diversi anni; molti la videro e altrettanti la riprodussero. Fra questi, il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640), che molto probabilmente ne eseguì una copia non dall’affresco, ma dal cartone, oggi conservata al Louvre.

Sebbene il capolavoro leonardesco non sia sopravvissuto, al pari del sopramenzionato cartone, rimangono a testimonianza i disegni preparatori, due dei quali sono conservati a Budapest. Il primo corrisponde alla figura di un guerriero che si trova nella parte destra della scena, che si potrebbe identificare con Pier Giampaolo Orsini, il giovane condottiero fiorentino; il secondo disegno, invece, con protagonista il guerriero urlante girato di tre quarti, è abitualmente identificato con Niccolò Piccinino, che era a capo delle truppe milanesi.

Per quel che concerne la pittura murale, tradizione vuole che – nel 1563 – il capolavoro incompiuto di Leonardo venne occultato dagli affreschi realizzati da Giorgio Vasari (1511-1574) nell’ambito delle modifiche strutturali e iconografiche di Palazzo Vecchio commissionate dal duca Cosimo I de’ Medici. I lavori trasformarono la Sala del Gran Consiglio nell’ambiente oggi noto come Salone dei Cinquecento, la più grande sala per la gestione del potere mai realizzata in Italia: per accentuare l’imponenza della sala, il maestro aretino decise di accorciarla e di innalzarla di ben 7 metri, su consiglio dell’anziano Michelangelo. In alto fece poi realizzare il soffitto dorato a cassettoni su cui si scorge il trionfo di Cosimo, il nuovo sovrano di Firenze, e la sottomissione della città e dei quartieri. Ai lati dipinse infine sei affreschi, simbolo della potenza dei Medici: da una parte la presa di Siena e dall’altra la sconfitta di Pisa. Il Vasari è molto chiaro nei suoi scritti: il lato sinistro della parete era riservato a Michelangelo, quello destro a Leonardo e, considerando tutte le modifiche che l’ambiente ha subito, alcuni studiosi ritengono che il nucleo del dipinto si trovi ancora nella zona sopra la porta sud-est, soprattutto perché – da grande ammiratore di Leonardo quale era – il Vasari difficilmente avrebbe osato distruggere una sua opera.

Questa ipotesi sarebbe poi supportata da un ulteriore particolare presente nell’affresco vasariano dedicato alla Vittoria di Cosimo I a Marciano in val di Chiana (combattuta il 2 agosto 1554), sito nello stesso salone: fra le molte bandiere verdi dipinte ve n’è una che reca la scritta in bianco «CERCA TROVA». La scritta, che è situata molto in alto e stranamente non segue le pieghe della bandiera, è contemporanea al dipinto, e ciò fa presupporre che sia stata apposta dallo stesso Vasari, forse come una sorta di indovinello, alludendo al fatto che l’affresco di Leonardo si celi proprio lì sotto. Tuttavia, di recente è stato dimostrato che si tratta del motto di un condottiero coinvolto nello scontro rappresentato dal Vasari, ipotesi avallata dai recenti studi, secondo i quali il capolavoro leonardesco non sarebbe mai esistito in Palazzo Vecchio.

Il team internazionale, fautore della ricerca con cui il presente articolo è stato inaugurato, ritiene infatti che i lavori per la realizzazione del grande affresco in Palazzo Vecchio si interruppero prima della fase pittorica e che, di conseguenza, Leonardo non abbia mai dipinto la Battaglia su quel muro. Gli esiti della lunga campagna di studi sono stati raccolti in un volume scientifico appena pubblicato: La sala Grande di Palazzo Vecchio e la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Dalla configurazione architettonica all’apparato decorativo, presentato nell’auditorium Vasari delle Gallerie degli Uffizi a Firenze nell’ottobre del 2020. Così, anche i risultati delle indagini condotte nel 2011 da un’équipe del National Geographic, guidata dall’ingegner Maurizio Seracini, si dimostrerebbero infondati. In quell’occasione, gli esperti trovarono tracce di pigmenti sottostanti l’affresco vasariano, compatibili con i colori usati da Leonardo in altre opere. In ogni caso, la Battaglia di Anghiari continua a far parlare di sé, a riprova della sua eccezionale importanza e della fama di cui a distanza di secoli gode. I veri appassionati hanno poi l’opportunità di scoprirne ancor di più visitando il Museo della Battaglia e di Anghiari, sito nell’omonima città toscana e unico Centro di Documentazione sull’opera. Aperto al pubblico per la consultazione e l’approfondimento di tutti i disegni e le opere dedicate al capolavoro leonardesco, offre la possibilità di osservarne i dettagli e compiere misurazioni grazie alla realtà aumentata e alle schede digitali.

Martina Scavone
Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.