ArtePrimo PianoI Pilastri dell’Arte: le opere che fanno da sfondo ai discorsi del Papa e del premier

Martina Scavone18 Aprile 2020
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Nonostante la situazione attuale ci impedisca di assaporare appieno bellezza e arte, queste ultime hanno inaspettatamente e discretamente continuato ad allietare le nostre giornate, entrando nelle case degli italiani in momenti estremamente delicati. Durante i discorsi pubblici del Papa e del Presidente del Consiglio è infatti possibile intravedere due opere che fanno da sfondo ai loro eloqui, come a voler sottolineare che – dietro il grigiore di questa emergenza – c’è sempre un barlume di speranza.

P. Perugino, Resurrezione di San Francesco al Prato, 1499, olio su tavola, 233×165 cm, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano

È la Resurrezione di San Francesco al Prato a fare capolino da dietro l’abito bianco di Papa Francesco, un dipinto ad olio su tavola del 1499 eseguito dalla bottega di Pietro Perugino (1448-1523), il divin pittore anche noto per esser stato il maestro di Raffaello. Oggi esposta nella Biblioteca privata del pontefice nel Palazzo Apostolico in Vaticano, venne commissionata nel marzo del 1499 da Bernardino di Giovanni da Orvieto per l’altare della cappella di famiglia in San Francesco al Prato di Perugia, da cui il nome, insieme ad una seconda tavola (San Giovanni Battista ed altri santi) che Perugino consegnerà dieci anni dopo. Al centro, all’interno di una mandorla, si staglia la divinità con bandiera “crocesegnata del vincitore” nel braccio sinistro, simbolo della Resurrezione, affiancata da due angeli. Il registro inferiore, invece, vede protagonista il sarcofago aperto da cui è appena fuoriuscito il Cristo risorto, connotato dall’armonia e dalla morbidezza tipiche della produzione matura del Perugino. Ai suoi piedi giacciono quattro soldati romani, tutti addormentati tranne uno, il quale può dunque assistere al miracolo. Questi ultimi sono raffigurati con elementi decorativi di repertorio classico, come il fantasioso cimiero dell’elmo. Sullo sfondo un paesaggio che si estende in profondità, probabilmente ispirato al lago Trasimeno, da cui spuntano un campanile ed una chiesa pieni “d’aria”. Lo schema appena enunciato ricorre sovente nelle opere del maestro, come accade nella Deposizione dalla Croce della Chiesa di Santa Maria dei Servi (1517) e nella quasi coeva Trasfigurazione conservata nella Sala delle Udienze del Collegio del Cambio a Perugia (1498-1500) dove, ad essere raffigurato, è un tema dell’iconografia cristiana estrapolato dai Vangeli, quando Gesù (nel registro superiore, anche in questo caso all’interno di una mandorla dorata), sul monte Tabor, rivela la sua natura fisica ai tre discepoli collocati nel registro inferiore, che assistono attoniti alla scena.

P. Perugino, Trasfigurazione, 1498-1500, affresco, 226×229 cm, Perugia, Sala delle Udienze del Collegio del Cambio

Tornando alla Resurrezione, ad avvalorare la tesi che si tratti di un’opera di bottega è il fatto che gli angeli oranti ai lati di Cristo derivino da un cartone usato ripetutamente dal Perugino e dalle sue maestranze: li vediamo ad esempio nella Madonna della Consolazione (1496-1498), nella Madonna in gloria e santi (1500-1501 circa) e nel Gonfalone della Giustizia (1501 circa). La tavola perugina fu trasferita a Parigi nel 1791, in quanto vittima dei saccheggi napoleonici, ma venne fortunatamente riportata in Italia nel 1815. Secondo Giovanni Battista Cavalcaselle, esimio storico dell’arte vissuto nel XIX secolo, nell’opera avrebbe giocato un ruolo di rilievo anche il giovane Raffaello, opinione condivisa da alcuni storici ma rifiutata dalla maggior parte della critica. Dopo un primo intervento nel 1954, nel 2001 l’opera ha subito il secondo importante restauro, durato ben tre anni e celebrato da una mostra, Il Perugino del Papa, svoltasi dal 17 marzo al 31 maggio del 2004 nel Salone Sistino.

Alle spalle del Presidente del Consiglio è invece possibile ammirare la copia seicentesca di un rinomato affresco, l’Incontro di Attila e Leone Magno di Raffaello (1483-1520), eseguito nel 1514 e collocato nella Stanza di Eliodoro in Vaticano. La copia, il cui autore resta tuttora anonimo, faceva parte delle raccolte della Galleria Nazionale di Arte Antica Barberini Corsini ed è stata portata a Palazzo Chigi per volontà di Silvio Berlusconi. A fine mandato, tutti i manufatti voluti dal premier avrebbero dovuto lasciare le sale del Governo, ma evidentemente tale sorte non è toccata al dipinto in questione, che continua a ornare la Sala delle Galere a Palazzo Chigi, la stanza deputata al rilascio delle dichiarazioni alla stampa del Presidente del Consiglio.

Raffaello, Incontro tra Attila e Leone Magno, 1514, Vaticano, Stanza di Eliodoro

La scena immortala un fatto storico e semileggendario avvenuto nel 452 d.C. sulle rive del Mincio, presso Mantova, sebbene Raffaello abbia scelto di ambientare la scena nelle vicinanze di Roma, che compare sullo sfondo a sinistra, dove si riconosce infatti una città murata, una basilica, un acquedotto e il Colosseo; il colle a destra su cui divampa l’incendio è invece Monte Mario. Mentre Attila, re degli Unni, avanza furente al centro del dipinto in groppa ad un cavallo nero, papa Leone Magno, ritratto con le fattezze di Leone X (1475-1521) per sua stessa volontà, procede solenne e pacato sul cavallo bianco che papa Medici effettivamente cavalcava quando si era recato in Laterano dopo l’elezione. Egli guida un corteo di Cardinali – straordinario per la ricchezza cromatica dalla quale è connotato – incedendo lentamente, in contrasto con lo scuro affollarsi dell’orda barbarica. Il gesto benedicente del pontefice è infine suffragato dalla comparsa dei santi Pietro e Paolo, protettori della Città Eterna, entrambi armati di spada: una miracolosa apparizione che fece desistere il re degli Unni dal desiderio di invadere l’Italia e marciare su Roma.

Ancora una volta, dunque, l’arte diventa emblema della nostra contemporaneità, mostrandosi quantomai attuale: l’auspicio, al momento, è di riuscire a risorgere come nella tavola perugina conservata in Vaticano, mentre si sta continuando a lottare, al pari di quanto avviene nella copia raffaellesca. La sola differenza è che nel nostro caso il duello vede coinvolto un nemico invisibile, meno prevedibile di Attila e probabilmente più difficile da sconfiggere.

Martina Scavone

Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.