Situato in provincia di Viterbo, nella Maremma Laziale, il Parco Naturalistico e Archeologico di Vulci costituisce una preziosa testimonianza storica di quella che fu una delle più potenti città Etrusche del Mediterraneo. La natura incontaminata – attraversata dal fiume Fiora – in cui sono custoditi i reperti archeologici stupì persino i grandi viaggiatori dell’Ottocento e ancor oggi continua ad attirare numerosi visitatori, impazienti di ammirare i resti monumentali emersi nell’area della città Etrusco-Romana a seguito degli scavi archeologici ancora in corso.
Prima di procedere è doveroso aprire una parentesi sulla storia di Vulci, il cui territorio è tradizionalmente individuabile nei diversi centri sorti nel bacino del Fiora e sulla linea di costa che dal fiume Arrone giunge sino al promontorio di Talamone, in Toscana. Ampia fu la penetrazione culturale del centro, sia verso nord che verso sud, tanto che i suoi prodotti si rintracciano non solo in tutti i maggiori centri dell’Etruria, ma anche in Corsica, sulle coste meridionali francesi e in altri centri mediterranei. La città di Vulci sorge a circa 12 km dal mare, su un vasto pianoro di forma irregolare, lambito in corrispondenza dei margini orientale e meridionale dal fiume Fiora, l’antico Armenta. A causa della scarsezza di fonti, la sua storia si poté ricostruire soprattutto grazie alle ricerche archeologiche. L’area urbana, protetta da ripide balze naturali e da mura in opera quadrata probabilmente erette nel IV secolo a.C., ha un’estensione di circa 120 ettari ed è stata, nel corso dei secoli, oggetto di numerosi scavi. La cultura elaborata nel comprensorio vulcente ha radici che risalgono alla seconda metà del IX secolo a.C., quando si assistette a una fioritura culturale nell’ambito villanoviano, frutto dei contatti e degli scambi commerciali già in corso anche con la Sardegna e l’Italia Meridionale. Dal secolo VIII iniziò anche la produzione di ricchi bronzi laminati e fusi – come urne (biconiche e a capanna), fiasche e cinturioni – il che si protrasse nei secoli successivi.
Sullo scorcio del VII secolo a.C. si assistette a una rapida ascesa economica e culturale del centro etrusco, testimoniata dall’importazione di prodotti di lusso provenienti dai maggiori mercati del Mediterraneo. Anche la stessa Vulci, grazie alla presenza del porto di Regae, ebbe un importante ruolo commerciale, come centro di ricezione e smistamento di beni verso l’Etruria centrale e settentrionale. Tuttavia, la crisi che coinvolse i centri etruschi intorno alla metà del V secolo non risparmiò nemmeno Vulci e, sebbene nel corso del IV secolo si assistette a una ripresa delle attività produttive nel campo delle ceramiche e della scultura funeraria, la fine di questa civiltà giunse inesorabile a partire dal 280 a.C., anno della sconfitta di Vulci a opera del console romano Tiberio Coruncanio. Da allora, la città perdette gradualmente d’importanza e le sue produzioni artistiche destavano il solo interesse di una clientela di ceto medio e popolare.

Dell’antica città sono giunti sino a noi i resti della cinta muraria (un unicum nel panorama dell’architettura etrusca) e di tre delle quattro porte d’accesso al centro abitato (Nord, Est ed Ovest), nonché alcuni edifici che costituivano il cuore di Vulci: la grandiosa Domus del Criptoportico, il Tempio Grande e il Mitreo. Altri reperti sono poi visibili lungo il percorso: un Arco Onorario che riporta il nome ed il cursus honorum di un senatore di Roma, Publius Sulpicius Mundus, e un edificio absidato noto come “Edificio in Laterizio”, probabilmente identificabile come una basilichetta cristiana tardo-antica.

Il grande Tempio Etrusco – forse dedicato a Minerva – era ubicato nell’area antistante al luogo in cui sorgeva il Foro della città romana; i resti del basamento testimoniano un’imponente struttura (36,40m x 24,60m), che fu interessata da numerosi rifacimenti. Su una piccola altura a Nord-Ovest del Tempio vi era l’Acropoli, sulla quale si ergevano sin dall’epoca etrusca degli edifici a sfondo culturale.

Proseguendo lungo il Decumano sono evidenti una serie di strutture, fra cui la sopraccitata Domus che – almeno nelle sue fasi iniziali – risale all’epoca tardo-repubblicana (fine II secolo a.C.); questa imponente abitazione, oltre a presentare uno schema planimetrico molto articolato, è dotata di un piccolo impianto termale, di un criptoportico (da cui il nome) e di un settore destinato al commercio.

Ubicata in uno dei quartieri più importanti di Vulci, poté vantare fra i suoi proprietari Marcus Vinicius, il genero di Germanico, ossia il famoso generale di Augusto che recuperò le insegne delle legioni romane massacrate nel 9 d.C. in Germania. Il Mitreo, rinvenuto e scavato nel 1975, è collocato proprio di fianco e ha restituito pregevoli sculture in marmo e vasellame connesse con il culto della divinità indo-iraniana. Preceduto da un ambiente di servizio, è contraddistinto da una pianta allungata e, addossata alla parete di fondo, era la statua di culto del dio Mitra (oggi sostituita da una copia). Al centro del corridoio si conserva ancora una piccola ara in nenfro sulla quale probabilmente venivano sacrificati alla divinità gli animali, mentre i lati lunghi sono occupati da due podia (banconi), dove trovavano posto gli adepti; tali podia poggiano su sei archetti, equivalenti come numero ai gradi di iniziazione attraverso i quali il neofita doveva passare per raggiungere la settima sfera (quella di Mitra).

Le indagini archeologiche stanno poi riportando alla luce edifici probabilmente pertinenti a un quartiere commerciale e a un porto fluviale attivo già nel VI secolo a.C. Inoltre, arricchivano la città almeno tre ponti: il primo antistante l’area appena citata, il secondo detto “della Badia” (di fronte al Castello attualmente sede del Museo Nazionale Etrusco) e il terzo nell’area antistante alla porta Sud. Questi univano le due sponde del Fiora e collegavano così l’area urbana con i territorio a sud e a est del pianoro popolato, almeno sino agli inizi del VI secolo d.C.

Come non citare, infine, le Necropoli della città di Vulci, note per la loro ricchezza ed estensione. La più settentrionale è la necropoli di Poggio Maremma, che si ricongiunge con il sepolcreto più prossimo all’abitato, conosciuto con il toponimo “Osteria”, dove è possibile visitare la Tomba dei Soffitti Intagliati (metà VII secolo a.C.).

Lungo la sponda sinistra del Fiora sono poi collocati i sepolcreti di Cavalupo Sporco, Cavalupo (sede della monumentale Cuccumella, il Tumulo funerario più grande d’Italia), quello di Ponte Rotto e – infine – la celeberrima Tomba François, appartenente alla famiglia Saties e composta da sette camere sepolcrali utilizzate nell’arco di almeno due secoli. Per gli amanti dell’archeologia e della natura, Vulci rimane dunque una meta imperdibile, unica e affascinante con i suoi assi viari ancora visibili, contraddistinti dai caratteristici ciottoli di grandi dimensioni, che permettono al visitatore odierno di percorrere quelle stesse strade che Romani ed Etruschi, due fra i più grandi popoli mai esistiti, calcarono secoli or sono.

Martina Scavone
Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.