ArtePrimo PianoI Pilastri dell’Arte: il furto della “Gioconda” di Leonardo da Vinci

Martina Scavone22 Agosto 2020
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In questi giorni ricorre un anniversario epocale, uno degli avvenimenti che ha segnato la storia dell’arte e di cui le generazioni a venire continueranno ad aver memoria: il primo clamoroso furto di un’opera d’arte da un museo. Era la mattina del 21 agosto 1911 quando Vincenzo Peruggia (1881-1925), di professione decoratore, si improvvisò ladro professionista, trafugando uno dei quadri simbolo della gloria italiana: la Gioconda (1503-1504) di Leonardo da Vinci. Alla base del furto, la ferma convinzione – da parte del Peruggia – che il dipinto appartenesse all’Italia in quanto rubato da Napoleone.

Foto segnaletica di Vincenzo Peruggia nel 1909

Ancor oggi si disquisisce sulla correttezza o meno della collocazione della Gioconda; molti sono gli italiani che ne rivendicano il possesso e che ritengono ingiusto che sia un museo francese, il Louvre, a possederla ed esporla. Ma chi conosce la storia dell’arte sa bene che il quadro ha tutte le ragioni di essere nel luogo in cui si trova, visto che fu lo stesso Leonardo a portarlo con sé in Francia nel 1516, e che ad acquistarlo – assieme ad altre opere – fu il re Francesco I (1494-1574). Più tardi Luigi XIV (1638-1715) fece trasferire il dipinto a Versailles e dopo la rivoluzione francese venne spostato al Louvre. Napoleone Bonaparte (1769-1821) lo volle nella sua camera da letto, ma nel 1804 tornò nuovamente nel museo francese dove artisti e scrittori – ormai nel pieno della temperie romantica – iniziarono a guardare la Monna Lisa con occhi diversi. In ogni caso, la presenza della Gioconda fra le collezioni reali è attestata già dal 1625 e non c’è nulla che possa far pensare a un furto perpetrato dai francesi.

Spazio vuoto sulla parete del Louvre in seguito al furto del 1911

Secondo la tradizione, l’opera rappresenta Lisa Gherardini (1479-1542), ossia “Monna” Lisa (un diminutivo di “Madonna” derivante dalla parola latina “Mea domina” che oggi avrebbe lo stesso significato di “Signora”), moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo (1465-1542), che la commissionò al maestro tra il 1502 e il 1503, e per tale ragione è anche nota come la “Gioconda”. Peraltro Leonardo, durante il suo terzo soggiorno fiorentino, abitò nelle case di fianco a Palazzo Gondi (oggi distrutte) a pochi passi da piazza della Signoria, che erano proprio di un ramo della famiglia Gherardini di Montagliari. Lo stesso Vasari scrisse che «prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontainebleau». Gherardini infatti non poteva immaginare che il maestro avrebbe impiegato ben quattro anni per portare a termine il lavoro, di conseguenza il ritratto non fu mai consegnato ai due coniugi del Giocondo, anzi prese addirittura la via della Francia, dove Leonardo si recò quando fu chiamato a lavorare come pittore di corte presso Francesco I.

L. da Vinci, Gioconda, 1503-1504, olio su tavola di pioppo, 77×53 cm, Parigi, Museo del Louvre

Torniamo ora alla notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911: Peruggia si nascose furtivamente in uno sgabuzzino prima della chiusura del Louvre, vi trascorse la notte e all’alba ne uscì, staccò il dipinto dalla parete, se lo nascose sotto il cappotto e uscì dalla porta sul retro, come se nulla fosse e con una facilità inaudita. Anche liberarsi della teca in vetro nella quale l’opera era custodita non fu affatto un problema, visto che era stato lui stesso a montarla tempo prima. A scoprire il fattaccio fu il pittore francese Louis Béroud (1852-1930), il quale si era recato di buon’ora al Louvre, chiuso al pubblico come ogni lunedì, per svolgere il suo lavoro da copista. Poiché aveva intenzione di ritrarre proprio la Gioconda andò nel luogo in cui era esposta, ma giunto davanti alla parete si accorse che il quadro era scomparso. Una volta lasciato il museo con il bottino, inizialmente Peruggia decise di prendere il tram, ma poiché sbagliò mezzo optò per un più comodo taxi. Messa l’opera in una valigia, posta sotto il letto di una pensione di Parigi, la custodì per ventotto mesi e successivamente la portò nel suo paese d’origine, a Luino, con l’intenzione di «regalarlo all’Italia», dopo aver ottenuto da qualcuno la garanzia che l’opera sarebbe rimasta nel suo paese.

Il furto della Gioconda sul giornale Le Petit Parisien

La notizia del furto fece impazzire i giornali, che la divulgarono nel giro di pochissimo tempo: Le Figaro, Le Petit Parisien, La Domenica del Corriere e la Cronaca delle Belle Arti sono solo alcuni dei nomi delle testate che si occuparono di narrare la vicenda. Dopo aver appurato che il dipinto non fosse nelle mani del fotografo ufficiale, i primi sospetti della polizia ricaddero su un gruppo di operai visti il giorno precedente davanti al dipinto, poi sui pittori Apollinaire e Picasso (i quali vennero persino arrestati) per aver più di una volta palesato la volontà di svuotare i musei e di riempirli con le loro opere, ma nessuno mai avrebbe sospettato di un umile operaio. Una volta giunto a Firenze, nel 1913, Peruggia improntò un goffo tentativo di vendita del dipinto a un antiquario del posto, al quale inviò una lettera dove si impegnava a restituire la Gioconda a fronte di un riscatto di 500.000 lire «per le spese». Incuriosito, l’11 dicembre 1913 l’antiquario fissò un appuntamento nella stanza 20 al terzo piano dell’Hotel Tripoli, che dopo l’evento in questione cambiò nome in Hotel Gioconda, accompagnato dall’allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. I due si accorsero che l’opera non era uno dei tanti falsi in circolazione, bensì l’originale, e se la fecero consegnare con la scusa di doverne verificare l’autenticità. Nell’attesa il Peruggia decise di andarsi a fare una passeggiata, che tuttavia terminò nel modo peggiore, ossia con l’arresto. Il ladro, processato, venne definito “mentalmente minorato” e di conseguenza fu condannato a una pena di un solo anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. In fase processuale si giustificò sostenendo di averlo fatto perché l’Italia avrebbe saputo valorizzare maggiormente l’opera e la sua difesa suscitò diverse simpatie (si parlò, infatti, di “peruggismo”).

La Gioconda a Firenze nel 1913 dopo essere stata recuperata

Approfittando del clima amichevole che allora regnava tra Italia e Francia, il dipinto recuperato venne esposto in tutta Italia: prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, alla Galleria Borghese (in occasione del Natale), e infine alla Pinacoteca di Brera a Milano, prima del suo definitivo rientro al Louvre. La Monna Lisa passò il confine a Modane, in Francia, su un vagone speciale delle ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l’attendevano il presidente della Repubblica Raymond Poincaré e tutto il governo.

Il ritorno del dipinto al Louvre

Ad oggi, la Gioconda continua a essere un’opera leggendaria, che ogni anno attrae milioni di visitatori nel museo francese che la custodisce. Il suo furto ha senz’altro contribuito ad alimentarne il mito e molte sono le domande ancora irrisolte che ruotano attorno a questo enigmatico dipinto. Ad esempio: chi rappresenta realmente? Abbiamo detto che l’ipotesi più accreditata sembra essere Lisa Gherardini, ma storicamente sono state proposte altre identificazioni, tra cui Caterina Sforza, la madre stessa di Leonardo, Caterina Buti del Vacca, Isabella d’Aragona, duchessa di Milano nell’anno 1489. Si è supposto, inoltre, che la nobildonna ritratta appartenesse al casato degli Imperiali. Altri invece ne farebbero risalire l’identità a Bianca Giovanna Sforza, figlia primogenita legittimata di Ludovico il Moro, signora di Bobbio e Voghera o a Pacifica Brandani, amante del duca Giuliano de’ Medici. Le menti più bizzarre e maliziose, invece, la vogliono interpretare come la versione femminile del pittore, che si è dunque ritratto in veste di donna. Un’altra questione che suscita dubbi e domande è l’ambientazione: considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che rappresenti un punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l’Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. Alcuni pensano invece che i paesaggi di Leonardo non siano aretini, ma prealpini, dei dintorni di Lecco o – come è forse più probabile – che si tratti di luoghi inventati e idealizzati sulla base di ricordi, sensazioni e luoghi che l’artista aveva potuto osservare nel corso dei suoi viaggi. Altre ipotesi hanno formulato che il paesaggio vada letto attraverso uno specchio, forse venne ricavato con la camera oscura leonardiana; in tal caso potrebbe assomigliare al Lago di Iseo col profilo della Corna Trentapassi. Infine, come non citare l’enigmatico sorriso della donna, divenuto l’emblema della sensualità femminile, una “femme fatale”, avvolta da un alone di mistero e di alchimia, come del resto è successo per il suo autore, un genio poliedrico, dalle mille abilità: artista, scienziato, inventore, il quale ha espresso appieno lo spirito del Rinascimento italiano.

Oltre al furto, che peraltro ha ispirato uno sceneggiato televisivo in tre puntate, trasmesso per la prima volta dalla RAI nel 1978 per la regia di Renato Castellani, altre vicende hanno contribuito a traumatizzare la Gioconda: nel 1956, la parte inferiore del dipinto venne seriamente danneggiata a seguito di un attacco con dell’acido e diversi mesi dopo qualcuno la colpì con un sasso, ragion per cui attualmente è protetta da un vetro di sicurezza, resistente a vari tipi di esplosivi e a qualsiasi agente corrosivo, che l’ha preservata anche dal trauma più recente, ossia il lancio di una tazza da parte di una visitatrice russa avvenuto nel 2009.

Martina Scavone

Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.