ArtePrimo PianoI grandi cambiamenti dell’Età del Ferro

Alice Massarenti26 Marzo 2021
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L’Età del Ferro in Italia centro meridionale, Sicilia e Sardegna copre un periodo che va dal 1000 a.C. al 725 a.C. circa, mentre nell’Italia settentrionale prosegue per altri 200 anni. In questa età i rapporti commerciali con l’ambiente egeo sono sempre più intensi, come attestano le importazioni di ceramica greca lungo le coste (dall’Etruria alla Campania) e la fondazione di colonie greche e fenicie nel corso dell’VIII secolo a.C. sia in Italia che in altre aree del Mediterraneo. Allo stesso tempo si notano in tutto l’egeo tracce del passaggio di persone di origine italiana ben prima della fondazione delle colonie: nei santuari greci sono stati rinvenuti ornamenti femminili, armi e oggetti metallici riconducibili a tipi italiani deposti come offerte.

In Occidente si passa rapidamente dal villaggio alla città attraverso il sorgere dei centri protourbani, insediamenti molto vasti con tutte le caratteristiche di un centro urbano, ma senza attributi monumentali, religiosi e giuridici. I mercati sono attestati dalle numerose produzioni artigianali specializzate e standardizzate, come l’utilizzo di strumenti in ferro e ceramica fabbricata al tornio, e la frequenza dell’uso di mezzi di scambio premonetali. Le attività estrattive e metallurgiche sembrano organizzate su scala industriale, al punto di poter organizzare il trasporto di grandi quantità di materiale a grandi distanze; ne è un chiaro esempio il minerale dell’Isola d’Elba lavorato nell’Isola d’Ischia a Pithecusa.

Nell’Etruria meridionale, le città di Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci e Orvieto si svilupperanno sui grandi centri che a partire dal 1000 a.C. vengono impiantati su vasti altipiani difesi da pendici a picco o molto ripide, occupando spazi anche superiori ai 100 ettari, mentre allo stesso tempo si vede l’abbandono dei piccoli abitati su pianoro. La superficie occupata aveva una netta delimitazione e la posizione poteva controllare le risorse della zona. Ad esempio, le fonti rivelano che Veio – anche se situato in un territorio interno – deteneva il possesso delle saline prossime alla foce del Tevere, grazie al controllo delle vie di traffico del fiume. La pianta delle singole abitazioni, grazie all’interessante ritrovamento di Fidene, ci appare rettangolare, con tetto a quattro spioventi sorretto da quattro pali portanti interni e una fila di pali esterni che segue il perimetro, per una superficie abitativa di 30 metri quadrati. I muri erano costruiti con la tecnica del “pisé”: tra pali distanziati 1 metro si costruivano casseforme in tavole di legno che pressavano argilla impastata con acqua, ceramica frantumata e paglia. Alla base delle pareti era presente una banchina in tufo e la porta era caratterizzata da un piccolo portico.

Dettaglio di decorazione di situla: carro da trasporto passeggeri con prigioniero o schiavo al seguito

Rispetto all’Età del Bronzo, in cui è evidente che la terra sia in possesso della comunità, si notano lotti di terreno coltivabile adiacenti alle abitazioni, interpretati come proprietà definitiva del nucleo familiare. Le forme di divisione del lavoro sembrano più accentuate rispetto al passato: per le ceramiche esistono officine centralizzate che creano manifattura in serie, mentre le lavorazioni domestiche di osso e legno vengono abbandonate in favore della circolazione di strumenti di lavoro in bronzo e ferro provenienti da botteghe specializzate.

Le necropoli connesse a questi grandi centri sono caratterizzate da aggregati di tombe destinati a famiglie nucleari. La mancanza di indizi di gruppi gentilizi nella fase più antica lascia pensare che il rituale all’interno di queste comunità fosse uniforme; in seguito, nella composizione dei corredi, si noterà una graduale differenziazione socio-economica. In buona parte dell’Italia meridionale il rito crematorio è sostituito dall’inumazione, che prenderà piede nel tempo anche nell’Italia centrale. Nelle regioni in cui era praticato il rito della cremazione, per la deposizione delle ceneri era utilizzata un’urna biconica, a volte finemente decorata, collocata in ciste litiche o pozzetti cilindrici, poi coperti da una scodella capovolta o da un elmo in ceramica. Le rare urne a capanna nel Lazio potevano essere deposte in un grande dolio assieme a miniature di oggetti e figurine umane, che per alcuni studiosi rappresentano la riproduzione simbolica di luoghi di culto.

Le forme di culto di quest’epoca mirano a sacralizzare la sfera celeste. Il sole viene raffigurato su vasi in ceramica o in bronzo laminato nel motivo della “barca solare” trainata da uccelli acquatici (come cigni o anatre); questi animali vengono interpretati come esseri sovrannaturali che hanno la capacità di veicolare le comunicazioni con il mondo ultraterreno. I simboli del potere degli emergenti ceti sociali sono la spada e altre armi di difesa, come elmi e corazze, che vengono deposte nelle tombe o immerse in acqua sorgiva come offerte votive. Si notano proprio nell’Età del Ferro le tracce dei primi luoghi pubblici di culto, all’interno o all’esterno degli abitati.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.