ArteIn EvidenzaI dipinti di Correggio nello studiolo di Isabella d’Este

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L’Allegoria della Virtù e l’Allegoria del Vizio (databili tra il 1528 e il 1530) sono due tele realizzate a tempera dal pittore emiliano Antonio Allegri, noto anche sotto il nome di Correggio. Sono oggi conservate al Museo del Louvre di Parigi, ma originariamente erano parte di un ciclo di dipinti commissionato da Isabella d’Este, sposa di Francesco II Gonzaga e marchesa di Mantova.

Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este, 1534-1536, olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Questo ciclo di quadri comprendeva un totale di sette opere realizzate tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento da importanti artisti dell’epoca: Andrea Mantegna, pittore di corte, Lorenzo Costa, Perugino e, appunto, Correggio.

Esse dovevano decorare lo studiolo della marchesa all’interno del Palazzo Ducale, nell’ala della Corte Vecchia. Qui Isabella d’Este, seguendo un rigido programma iconografico, poté costituire una sorta di piccolo museo privato. La necessità di raccoglimento era però solo uno sfondo per un’astuta strategia di rappresentanza che fece sì che, grazie anche alle sue capacità diplomatiche e a una brillante intelligenza, poté costruire attorno a sé una rete di conoscenze con i più rinomati artisti, letterati e filosofi del periodo.

Proprio l’eccellente fattura dei dipinti dello studiolo e il magnetismo che aleggiava sul nome di Isabella d’Este, dopo la morte di quest’ultima nel 1539, fecero sì che le sette tele si trovarono poi tra Cinquecento e Seicento al centro di trattative di vendita su scala europea. Furono infatti divise tra le collezioni del “Cabinet du Roi”, ovvero il “cabinet” del re Luigi XIII nel castello del cardinale Richelieu a Poitou, e quelle del re Carlo I Stuart in Inghilterra, prima di essere riunite infine al Louvre di Parigi.

In particolare, l’attenzione sarà indirizzata in questo articolo alle due tele del Correggio, le ultime a terminare il gruppo voluto da Isabella d’Este. Infine, vedremo come un ultimo riflesso delle opere dello studiolo sarà visibile anche nel Settecento, attraverso un esempio francese di Antoine Coypel.

Correggio, Allegoria della Virtù, 1528-1530, tempera su tela, Museo del Louvre, Parigi

L’Allegoria della Virtù si presenta come un dipinto di formato verticale, all’interno del quale la figura della dea Minerva ricopre un ruolo di preminenza. Essa è posta al centro della composizione; l’armatura, la lancia spezzata e lo scudo sul suolo sono, inoltre, attributi che aiutano a identificare il personaggio. È incornata con l’alloro da una figura alata e sovrasta, con il piede, un essere mostruoso. Accanto a lei, a sinistra, una donna è immagine delle quattro Virtù (Virtù quadripartita): porta la spada della Giustizia, il serpente della Prudenza, la pelle di leone della Fortezza e il morso della Temperanza. Sul lato destro, invece, compare una figura di più difficile identificazione. Ha la pelle più scura, è vestita con abiti esotici e segna col compasso il globo celeste. Proprio per questi elementi è stata avanzata l’ipotesi di madre delle Virtù (Malinconia, Scienza, Virtù intellettuale o l’Astrologia/Urania).

Il significato completo di quest’opera ci giunge solamente in rapporto a una visione più ampia, collegandola al suo “pendant”: l’Allegoria del Vizio.

Correggio, Allegoria del Vizio, 1528-1530, tempera su tela, Museo del Louvre, Parigi

Il Vizio (secondo diverse letture interpretato invece come il satiro Marsia o come il satiro Sileno) è immaginato qui come un uomo vecchio e selvatico, mollemente legato a un albero e seviziato dalle tre Furie. Queste sono riconoscibili come tali a causa dei serpenti tra i capelli. Erano delle divinità o forze primitive che non obbedivano ad alcuna legge e il loro principale scopo era quello di castigare e vendicare il crimine. Erano protettrici dell’ordine sociale, condannando chiunque si macchiasse di un delitto. Vediamo quindi che queste tre figure tormentano in modi differenti il Vizio: una lo minaccia con delle serpi, una lo infastidisce col suono del flauto e la terza lo scortica. Infine, nella parte inferiore del dipinto, un giovane satiro osserva lo spettatore reggendo un grappolo d’uva.

Da un punto di vista simbolico e di significato, si potrebbe dire che Minerva – insieme alla Virtù e all’Astrologia – trionfi sui Vizi scatenati dalle Furie. In questo modo, le due tele si ricollegherebbero senza difficoltà al tema iconografico principale che governa l’intero studiolo, ovvero l’imperturbabilità del sapiente e dell’intellettuale. Questo stesso significato si ritrova anche nel motto personale di Isabella d’Este – “Nec spe nec metu”, traducibile come “Né con speranza né con timore” – che orna graficamente lo studiolo stesso.

“Nec spe nec metu”, motto di Isabella d’Este dallo studiolo nel Palazzo Ducale di Mantova.

Invece, lo studioso Stephen J. Campbell propone un’interpretazione diversa, ma non condivisa universalmente. In questo senso l’Allegoria del Vizio sarebbe una rappresentazione dei patimenti a cui i Gonzaga andarono incontro a causa del Sacco di Roma del 1527. L’Allegoria della Virtù dovrebbe quindi costituire la soluzione a tali disordini, tramite uno stoico impegno nella riflessione e nella filosofia in cerca della Virtù stessa.

Un’ultima considerazione sulla celebrità e sulla diffusione delle tele dello studiolo di Isabella d’Este è data dall’esempio settecentesco del pittore francese Antoine Coypel. Il dipinto Sileno sporcato di more dalla ninfa Egle (1700-1701) mostra in modo evidente un debito nei confronti dell’Allegoria del Vizio di Correggio.

Antoine Coypel, Sileno sporcato di more dalla ninfa Egle, 1700-1701, olio su tela, Musée des Beaux-Arts, Reims

Coypel vide sicuramente l’opera di Correggio nella collezione di Luigi XIV e ne riprese l’impostazione verticale e piramidale; il cesto di frutta sul lato inferiore ci introduce alla scena esattamente come faceva il giovane satiro nel lavoro mantovano. All’interno di un contesto paesaggistico, probabilmente una grotta, la ninfa Egle e due satiri-pastori Croni e Mnasilio (o Mnasillo) sorprendono Sileno ebbro. Legandolo e sporcandogli il viso con delle more, lo esortano a cantare per loro. Il tema disturbante è desunto dalla Ecloga IV delle Bucoliche (I secolo a.C.) di Virgilio e viene trattato seguendo l’estetica rococò di leggerezza e frivolezza, senza denigrare però con superficialità il soggetto.

Se da un lato Correggio esprimeva con più severità l’infausto incontro tra le Furie e il Vizio, mantenendo però la grazia della propria pittura, Coypel sceglie di affrontare la vicenda di Sileno trasformandola quasi in un gioco dove, però, l’unico personaggio destinato a perdere è già designato senza possibilità di scampo.

Ana Maria Sanfilippo

Classe ’96, risiede in Friuli-Venezia Giulia. Laureata presso l’Università degli Studi di Udine in Conservazione dei Beni Culturali, Studi italo-francesi, si sta specializzando in Arts, Museology and Curatorship a Bologna, dove sta frequentando l’ultimo anno della magistrale. Ha partecipato all’organizzazione della mostra digitale “Trasmissione”, di cui ha co-curato anche il catalogo. Ama la letteratura, l’arte e lo studio delle lingue straniere.