ArtePrimo PianoAgainst the White Cube: l’assemblage come dimensione alternativa alla galleria standard

Arianna Cavigioli12 Maggio 2019
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2019/05/fee.jpg

Negli anni Sessanta l’artista e curatore americano Allan Kaprow distinse due tendenze artistiche contrarie del suo tempo: l’”assemblage” come modalità di unione caotica di eventi in determinati spazi e in certi tempi (Happenings) e la GalleryBox, antenata del White Cube, come norma e regola costrittiva. Kaprow definì Happening «una forma di teatro in cui diversi elementi alogici, compresa l’azione scenica priva di matrice, sono montati deliberatamente insieme e organizzati in una struttura a compartimenti». 18 Happening in 6 parti fu il primo evento interattivo dove il pubblico veniva guidato all’interno di una struttura a compartimenti, in cui si mescolavano collage musicali, declamazioni apparentemente prive di senso e pittura astratta. In ogni zona avvenivano tre azioni contemporaneamente, il loro termine era scandito dal suono di una campana mentre due rintocchi segnavano la fine dell’intera performance.

Allan Kaprow, 18 happenings in 6 parts, 1959, Reuben Gallery, New York

Con Yard i connotati dell’Happening cambiarono e il pubblico assunse un ruolo più attivo: poteva interagire con materiali e performer in maniera diretta e del tutto improvvisata. Perciò nel 1961 il cortile della Galleria Marta Jackson a New York fu riempito di gomme pneumatiche: gli spettatori, che potevano muoversi liberamente, si fusero totalmente con l’ambiente dando origine a un unico spazio globale.

Allan Kaprow, Yard, 1961, Martha Jackson Gallery, New York

Negli anni successivi le azioni di Kaprow si spostarono al di fuori dell’istituzione museale, allontanandosi dalle sue logiche di mercato e risignificando nuovi spazi. In Fluids del 1967 un parco di Los Angeles fu invaso da una ventina di cubi di ghiaccio atti a formare una costruzione in cui la mancanza di pareti lasciava la struttura libera di sciogliersi e contaminare l’ambiente.

Allan Kaprow, Fluids, 1967, Los Angeles

Se per l’artista e performer Allan Kaprow “assemblage” e “normatività” erano atteggiamenti diametralmente opposti e che non avrebbero mai potuto combaciare, Brian O’Doherty nei suoi primi scritti parla della potenza del collage come strumento di sovvertimento della galleria standard, agente all’interno della stessa. Per il critico irlandese non è necessario fuoriuscire dagli spazi istituzionali per poterne criticare i meccanismi e le configurazioni spaziali, ma spesso risulta più efficace muoversi all’interno della galleria in questione. A partire dagli anni Sessanta numerosi artisti hanno infatti lavorato per riempimento dello spazio espositivo, abbattendo le regole congenite dello spoglio White Cube, fra cui la minima distanza tra le diverse opere e la quantità massima di lavori all’interno di una singola stanza. L’invasione della galleria ha avuto diverse sfumature e connotazioni, con la volontà più o meno consapevole ed efficace di aprire un varco rispetto alle logiche museali standardizzate, ribaltandone in parte le gerarchie spaziali.

Arianna Cavigioli

Ricercatrice indipendente, collabora con diverse testate culturali, firmando recensioni e approfondimenti di eventi artistici. Ha frequentato il corso di Pittura e Arti Visive presso NABA (Nuova Accademia di Belle Arti), laureandosi con una tesi che analizza connotati e spazi espositivi alternativi al White Cube. In seguito, presso il medesimo Istituto, ha conseguito un titolo magistrale in Arti Visive e Studi Curatoriali.