ArtePrimo PianoAgainst the White Cube: GRAV, un manifesto per l’emancipazione dello spettatore

Arianna Cavigioli19 Maggio 2019
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Il Groupe de Richerche d’Art Visuel fu fondato a Parigi nel 1960 dal teorico argentino Julio Le Parc e comprendeva un insieme di artisti internazionali che lavorava con l’arte Cinetica e Optical. Si trattava di un gruppo di lavoro comune, che progettava ambienti polisensoriali e costruiva sculture cinetiche con l’obiettivo di stimolare la percezione del fruitore e annullare la distanza tra artista e spettatore. La produzione del GRAV comprendeva installazioni ottiche e cinetiche bi- e tridimensionali che indagavano le risposte psicologiche e fisiologiche dell’essere umano rispetto al movimento, alla luce e al colore, ma anche questionari sottoposti ai visitatori (come Inchiesta Pubblica del 1962 e Inchiesta Pubblica in Strada del 1966). Il Labyrinthe (Labirinto), ad esempio, realizzato per la III Biennale di Parigi nel 1963, includeva circa venti esperienze ambientali, tra cui strutture appese al muro e installazioni luminose a ponti mobili. Gli strumenti di contatto con il pubblico inducevano, tramite l’aggressione visiva e l’appello diretto, a una partecipazione attiva, trasformando l’opera d’arte o la performance in un gioco o una situazione inaspettata. Il modello a cui guardavano i GRAV era il parco divertimenti, un luogo in cui il tempo era in movimento, a differenza dei musei in cui si procedeva per stratificazioni temporali.

GRAV, Labyrinthe, 1963, III Biennale di Parigi, Garcia-Rossi, Le Parc, Morellet, Sobrino, Stein, Yvaral

Il progetto più significativo di GRAV fu Une Journée dans la Rue, un itinerario di azioni pubbliche in giro per Parigi, che, come dimostra il disegno del percorso giornaliero, era guidato da un programma rigoroso scandito in un determinato lasso di tempo. Il viaggio partecipativo iniziava alle otto del mattino all’ingresso della fermata della metropolitana di Chatelet, dove il gruppo consegnava regalini ai passeggeri, e proseguiva sugli Champs Élysées, in cui alle dieci venivano assemblate e smontate strutture modificabili. A mezzogiorno, vicino all’Opera, furono messi a disposizione dei passanti oggetti cinetici abitabili, mentre alle due del pomeriggio, presso il giardino delle Tuileries, un caleidoscopio gigante era offerto alla curiosità di adulti e bambini. Alle sei a Montparnasse il pubblico era incitato a camminare su un pavimento di lastre mobili, e più tardi era programmata una passeggiata lungo la Senna illuminata da luci elettroniche. La documentazione fotografica dell’evento dimostra la presenta di un vasto ed eterogeneo pubblico, che interagisce con vari oggetti come scatole, molle, tavolette e palloni.

GRAV, Une Journée dans la Rue, 1966, Parigi

La nuova poetica si schierava contro la sacralizzazione dell’artista e il mercato dell’arte e l’arma più efficiente era l’ampliamento della percezione dell’osservatore con la sua conseguente emancipazione. Tenendo conto di quella realtà sociale che è lo spettatore, il breve manifesto di GRAV intitolato Assez des Mystifications (Basta con le Mistificazioni) si impegnava a oltrepassare l’alienazione del pubblico rispetto all’istituzione artistica con le seguente acclamazioni:

 

«Vogliamo interessare lo spettatore, disinibirlo, metterlo a suo agio. Vogliamo farlo partecipare.
Vogliamo porlo in una situazione che egli stesso mette in moto e trasforma. Vogliamo che sia cosciente della sua partecipazione.
Vogliamo che si orienti verso un’interazione con altri spettatori. Vogliamo sviluppare nello spettatore una forte capacità di percezione e d’azione.
Uno spettatore cosciente del proprio potere d’azione e stanco di tanti abusi e mistificazioni potrà fare egli stesso la vera rivoluzione nell’arte»

Atelier Populaire, Je partecipe, Tu partecipes, Il partecipe…, 1968, serigrafia su carta

Nonostante lo sforzo di GRAV nell’asserire la partecipazione collettiva come antidoto all’individualismo, durante gli eventi spettava alla singolarità dell’individuo completare lo scenario preesistente di opzioni ideate dall’artista. Come affermò la scrittrice e critica d’arte Claire Bishop in Inferni Artificiali «le esperienze prodotte dalle installazioni del GRAV sono più individuali che sociali, e oggi sarebbe più corretto definirle interattive piuttosto che partecipative». La stimolazione dell’individualità consentì agli artisti di non considerare il pubblico una massa indistinguibile, ma diede spazio alle peculiarità e alle reazioni del singolo essere umano. Gli spettatori agivano nello stesso luogo, ma ognuno in modo diverso e dando origine a situazioni differenti, in linea con le sensazioni e le caratteristiche proprie del singolo.

Arianna Cavigioli

Ricercatrice indipendente, collabora con diverse testate culturali, firmando recensioni e approfondimenti di eventi artistici. Ha frequentato il corso di Pittura e Arti Visive presso NABA (Nuova Accademia di Belle Arti), laureandosi con una tesi che analizza connotati e spazi espositivi alternativi al White Cube. In seguito, presso il medesimo Istituto, ha conseguito un titolo magistrale in Arti Visive e Studi Curatoriali.