ArtePrimo PianoGli incredibili risultati della campagna di scavo presso il sito archeologico di Collecchio

Alice Massarenti29 Aprile 2022
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Il sito di Collecchio (Parma), scoperto nel 1992 durante i lavori di sviluppo della viabilità cittadina, è il più ricco deposito del Mesolitico antico mai esistito; oggetto di un ampio scavo nella Pianura Padana meridionale, rappresenta un luogo chiave per indagare gli aspetti del ripopolamento umano in questa area dopo l’ultimo massimo glaciale (LGM). Il sito – che si trova sulla sommità del conoide alluvionale del fiume Taro (106 metri sul livello del mare), leggermente discostata e rilevata rispetto alla vera e propria pianura, ai piedi dei primi rilievi collinari – ha restituito un record di reperti organici comprendente carbone, malacofauna e macrofauna, nonché un ricco assemblaggio litico composto da più di 7.500 artefatti, raggruppati su un’ampia superficie che probabilmente rappresenta solo una parte dell’originale area occupata.

Sono stati rinvenuti diversi gusci di lumaca riferiti a tre specie di gasteropodi terrestri: “Chondrula tridens”, che predilige ambienti calcarei, asciutti, zone rocciose e prati; “Cernuella cisalpina”, che si trova facilmente nei prati; “Cepaea nemoralis”, che è diffusa nelle foreste a latifoglie (e che fa tuttora parte della nostra alimentazione). Sono stati esaminati 583 carboncini e 33 resti di semi. I frammenti di carbone sono generalmente ben conservati, sebbene le dimensioni siano ridotte, generalmente inferiori a pochi millimetri. I bordi sono piuttosto irregolari, attestando così una deposizione in loco. Tra i 498 frammenti identificati le specie dominanti sono castagno, pioppo, quercia, frassino, carpino nero, frangola, biancospino, viburno, acero campestre, noce, abete e pino.

I 2295 resti faunistici provenienti dal sito di Collecchio sono ossa di piccole dimensioni e frammenti modificati dalla combustione, quindi difficili da identificare: sono presenti cinghiale, lepre, volpe e gatto selvatico. L’assemblaggio litico è costituito da 7697 manufatti e comprende materiali appartenenti alla sequenza stratigrafica dell’Appennino settentrionale; l’approvvigionamento delle materie prime quindi si è svolto perlopiù all’interno dei depositi alluvionali delle valli di Taro, Baganza ed Enza.

Supporti ritoccati: 1. bulino con ravvivamento; 2. bulino con ritaglio; 3. grattatoio; 4. troncatura obliqua; 5-6. segmenti; 7. punta a dorso e troncatura; 8-9. punte a doppio dorso (scala 1:1, disegni di S. Ferrari)

I resti di carbone indicano che l’area circostante il sito era caratterizzata da una copertura vegetale di latifoglie decidue dominate da castagno, pioppo, salice e quercia mentre le tre specie di conchiglie terrestri attestate evidenziano la presenza di luoghi asciutti e soleggiati senza vegetazione arborea e di boschi formati da alberi decidui e sclerofille sempreverdi. Anche la composizione del complesso faunistico indica la presenza di ambienti aperti e foreste in prossimità di zone umide. A partire dal Preboreale Inferiore le zone collinari terrazzate dell’Appennino settentrionale erano favorevoli all’insediamento umano, come ben attestato dai dati paleoambientali. Secondo le due date radiometriche disponibili – 9251-8814 cal BC (9643±70 dal presente, ricavato da una nocciola combusta) e 9119-8564 cal BC (9442±60 dal presente, ricavato da un frammento di legno) – il sito si colloca durante il Preboreale, andando a rappresentare la testimonianza datata più antica della Pianura Padana meridionale dopo la fine dell’ultimo massimo glaciale (LGM). Per quanto riguarda la sussistenza dei gruppi, oltre alla presenza di resti faunistici (che si riferiscono a una gamma piuttosto ampia di specie), alcune nocciole rappresentano la prima testimonianza della raccolta di frutti da parte di gruppi del Mesolitico antico nel settore meridionale della pianura del Po.

Industria litica: 1. punta a dorso; 2-4. punte a doppio dorso; 5. lamella a dorso e troncatura; 6. punta a dorso e troncatura; 7. frammenti a dorso; 8-12. segmenti; 13. triangolo scaleno con frattura da impatto; 14. microbulino; 15. microbulino Krukowski; 16. punta a dorso parziale; 17-18. grattatoi denticolati; 19. scheggia a ritocco erto (disegni di S. Ferrari, in Preistoria alpina, 48, 2016)

Il modello insediativo riconosciuto per il Mesolitico nell’area della Pianura Padana meridionale si era già sviluppato a partire dalla metà del Boreale e si basava sullo sfruttamento delle risorse offerte dalle reti appenniniche locali. In particolare, l’analisi delle materie prime di Collecchio suggerisce spostamenti tra la pedemontana e l’Appennino medio-alto, comprendendo un territorio che va dalla Val Trebbia (Piacenza) a ovest, alla Val Baganza (Parma) a est. Questi dati corrispondono alle informazioni ricavate dalle ricerche condotte nei territori montani dell’Appennino Emiliano che, sebbene nella maggior parte dei casi siano prive di datazioni al radiocarbonio, indicano comunque un intenso sfruttamento di queste aree da parte dei gruppi sauveterriani. All’interno di questo sistema il sito di Collecchio potrebbe rappresentare un campo base stagionale di media durata, orientato verso diverse attività di sussistenza come attestato dagli strumenti rinvenuti. La sua funzione sembra quindi complementare a quella della maggior parte degli altri depositi noti della Pianura Padana, che mostrano caratteristiche più tipiche degli insediamenti di caccia brevemente frequentati.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.