LetteraturaPrimo PianoTeatro e DanzaMalintesi e lieto fine: gli elementi tipici della commedia plautina

Monica Di Martino14 Giugno 2022
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Uno degli aspetti caratterizzanti gli attori o presentatori comici è quello di sottolineare la difficoltà di suscitare il riso rispetto a quella, al contrario, di commuovere. Un autore – il primo della letteratura latina di cui conserviamo opere intere – che non ha certamente fallito in questo intento è Plauto, che effettua un rovesciamento burlesco della realtà allo scopo di far divertire la gente.

Le trame di Plauto sono caratterizzate da intrecci complicati e ripetitivi. Almeno sedici commedie su venti, infatti, presentano il tipico intreccio del giovane innamorato di una donna e ostacolato nel suo amore; l’ostacolo è rappresentato, se la ragazza è una cortigiana, dalla mancanza del denaro per assicurarsene i favori oppure, se la ragazza è onesta, da altri impedimenti di carattere familiare o sociale. Lo sfortunato è sostenuto da uno o più aiutanti, un giovane amico o un parassita, ma sono gli espedienti, le trovate ingegnose e la trama di inganni che vengono messi in opera dal servo per raggirare gli antagonisti a essere particolarmente avvincenti. In particolare è il servo il vero protagonista di gran parte delle commedie: è lui l’eroe su cui si concentrano l’attenzione e la simpatia di autore e pubblico.

L’immancabile lieto fine prevede il “riconoscimento”, elemento tipico della commedia nuova, per cui la ragazza povera o senza dote – ad esempio – si scopre alla fine di buona famiglia e si trasforma nella fidanzata ideale per il giovane. Talvolta, invece, prevale la figura del vecchio raffigurato o come l’avaro (a cui si ispirerà Molière) o come chi è ridicolmente innamorato diventando, talvolta, rivale del proprio figlio nella conquista della stessa donna. Altra particolare forma di equivoco è lo scambio di persona, come avviene per esempio nella commedia I Menecmi: ciascuno dei due personaggi capita in scena al posto dell’altro trovandosi, così, in un contesto predisposto per l’altro; ne derivano degli equivoci dai quali scaturisce il divertimento del pubblico. I personaggi sono entrambi naturalmente ignari dell’esistenza dell’altro e capitano sempre nel momento sbagliato, divenendo vittima di una serie di infiniti malintesi. Il tema ha trovato una notevole diffusione: si pensi alla Commedia degli errori di William Shakespeare e a I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, solo per citare due illustri esempi.

Il modello di Plauto è certamente la commedia greca, che egli adatta e rielabora, e il suo obiettivo è quello di andare incontro alle preferenze degli spettatori meno colti e raffinati cosicché appaiono più di frequente motivi di comicità buffonesca. Per questo, Plauto ricorre anche al cosiddetto “metateatro” – cioè al teatro che parla di se stesso – e all’intrusione di riferimenti romani in commedie di ambientazione greca, perché egli intende sottolineare il carattere ludico del teatro smascherando la finzione teatrale, per richiamare lo spettatore alla consapevolezza che sta partecipando a un gioco. Plauto, inoltre, a differenza di Terenzio non intende ammaestrare il suo pubblico ma divertirlo, senza voler comunicare un messaggio preciso. Nel suo mondo rovesciato i sogni più audaci si realizzano, le gerarchie appaiono ribaltate – anche all’interno della famiglia – per cui avremo giovani che riescono a ottenere ciò che desiderano in barba ai padri, oppure schiavi che dimostrano la loro superiorità rispetto al padrone; ciò naturalmente può avvenire solo grazie al gioco teatrale, senza voler mettere quindi in discussione la normalità dei rapporti che l’autore è ben lungi dal voler criticare.

Monica Di Martino

Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.