Nativo di Fabriano, del 1929, Giuseppe Uncini è un artista che si distingue dalla massa. Nella sua espressione artistica mostra un uso piuttosto singolare della materia, sia sotto il profilo pratico, sia per quel che riguarda l’estetica che è alla base delle sue opere. Servendosi nelle sue sculture del cemento armato e in alcuni casi della carta, mira alla realizzazione di una ricerca delle origini, perseguita dall’uso di linee libere, attraverso le quali intende rendere al massimo la fisicità della materia.
«Mi piace pensare alla mia scultura come qualcosa che possiede due vite: l’una quella che riesco a darle con i miei criteri di estetica, di spazio e di poesia, l’altra quella dovuta all’uso quotidiano, vero, concreto della cosa. Naturalmente, ciò che mi interessa è caricare questi vuoti di umori, di momenti poetici, insomma di farne cavità dense di avventure esistenziali». Con queste parole Giuseppe Uncini presenta la sua arte e l’intento della sua esperienza artistica: essa prende vita e si valorizza nell’essenzialità del cemento armato delle sue opere. Le linee, composte ad esempio dai ferri che armano il cemento, sono elastiche e nel tempo sempre più libere, proprio a conferma dell’estetica e della poesia che egli intende donare a ciò che appartiene ad un uso più quotidiano.
A fronte di queste considerazioni, ci si potrebbe tranquillamente aspettare un qualsiasi oggetto presente nei nostri ambienti domestici dotato di chissà quale tocco artistico, quasi à la Duchamp. Tutt’altro. L’astrattismo di Giuseppe Uncini è diverso, la sua ricerca delle origini risente infatti profondamente dell’architettura tipica della provincia marchigiana. In effetti, pensando ai numerosi siti di interesse artistico presenti a Fabriano, come il Chiostro di San Benedetto di epoca duecentesca o la Chiesa di San Benedetto di epoca rinascimentale, questi presentano la semplicità tipica – con le dovute differenze – delle loro correnti storico-artistiche di appartenenza. Furono proprio questi caratteri che influenzarono Uncini e che condizionarono nell’intimo la sua maniera di essere astrattista.
La creatività dell’artista è stimolata dalla geometria delle linee, tipica dei manufatti e delle opere architettoniche, e non si disperde mai, sia che si tratti di lavorare con il cemento, sia che Uncini si serva della carta. Ciò che di essa lo seduce è la particolare fisicità che non sfocia mai in decorazione; grazie alla capacità di potersi presentare sotto molteplici forme, Uncini considera la carta come il «veicolo del pensiero» e al riguardo scrive: «Non ho mai preteso una teoria senza parole, non ho mai cercato nella mia opera il luogo dove si formasse il significato. Non è un caso che, tanti anni fa, alla domanda su quale fosse lo scultore che mi interessava maggiormente, rispondessi senza esitazione: Giotto».
Nella mostra a lui dedicata Realtà in equilibrio, curata da Giuseppe Appella e ospitata presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna fino al 29 settembre, sono presenti complessivamente 57 sculture e 30 disegni appartenenti al periodo di attività compreso fra il 1957 e il 2008, anno della sua scomparsa.

Cecilia Morelli
Classe '95, studia Giurisprudenza presso l’università La Sapienza di Roma. Amante della natura, soprattutto dei paesaggi che offre. L’arte, in ogni sua declinazione, è un elemento centrale della sua vita.